Ezio, libretto, Parigi, Quillau, 1755

 E vuoi la tua vendetta
 con la taccia comprar di traditore?
 IARBA
 Araspe, il mio favore
380troppo ardito ti fe’. Più franco all’opre
 e men pronto ai consigli io ti vorrei.
 Chi son io ti rammenta e chi tu sei.
 
    Son qual fiume che gonfio d’umori,
 quando il gelo si scioglie in torrenti,
385selve, armenti, capanne e pastori
 porta seco e ritegno non ha.
 
    Se si vede fra gli argini stretto,
 sdegna il letto, confonde le sponde
 e superbo fremendo sen va. (Parte con Araspe)
 
 SCENA XIV
 
 Tempio di Nettuno con simulacro del medesimo.
 
 ENEA e OSMIDA
 
 OSMIDA
390Come? Da’ labbri tuoi
 Dido saprà che abbandonar la vuoi?
 Ah Taci per pietà
 e risparmia al suo cor questo tormento.
 ENEA
 Il dirlo è crudeltà
395ma sarebbe il tacerlo un tradimento.
 OSMIDA
 Benché costante, io spero
 che al pianto suo tu cangerai pensiero.
 ENEA
 Può togliermi di vita
 ma non può il mio dolore
400far ch’io manchi alla patria e al genitore.
 OSMIDA
 Oh generosi detti!
 Vincere i propri affetti
 avanza ogni altra gloria.
 ENEA
 Quanto costa però questa vittoria!
 
 SCENA XV
 
 IARBA, ARASPE e detti
 
 IARBA
405(Ecco il rival né seco (Piano ad Araspe)
 è alcun de’ suoi seguaci).
 ARASPE
 (Ah pensa che tu sei...) (Piano a Iarba)
 IARBA
                                              (Sieguimi e taci). (Come sopra)
 Così gli oltraggi miei... (Nel voler ferire Enea, trattenuto da Araspe gli cade il pugnale ed Araspe lo raccoglie)
 ARASPE
                                             Fermati. (A Iarba)
 IARBA
                                                                Indegno, (Ad Araspe)
 al nemico in aiuto?
 ENEA
410Che tenti, anima rea? (Ad Araspe, vedendogli il pugnale)
 OSMIDA
                                            (Tutto è perduto).
 
 SCENA XVI
 
 DIDONE con guardie e detti
 
 OSMIDA
 Siam traditi, o regina. (Con affettato spavento)
 Se più tarda d’Arbace era l’aita,
 il valoroso Enea
 sotto colpo inumano oggi cadea.
 DIDONE
415Il traditor qual è, dove dimora?
 OSMIDA
 Miralo, nella destra ha il ferro ancora. (Accenna Araspe)
 DIDONE
 Chi ti destò nel seno
 sì barbaro desio?
 ARASPE
 Del mio signor la gloria e ’l dover mio.
 DIDONE
420Come? L’istesso Arbace
 disapprova...
 ARASPE
                           Lo so ch’ei mi condanna;
 il suo sdegno pavento;
 ma il mio non fu delitto e non mi pento.
 DIDONE
 E nemmeno hai rossore
425del sacrilego eccesso?
 ARASPE
 Tornerei mille volte a far l’istesso.
 DIDONE
 Ti preverrò. Ministri,
 custodite costui. (Araspe parte tra le guardie)
 ENEA
 Generoso nemico, (A Iarba)
430in te tanta virtude io non credea.
 Lascia che a questo sen...
 IARBA
                                                Scostati Enea.
 Sappi che il viver tuo d’Araspe è dono,
 che il tuo sangue vogl’io, che Iarba io sono.
 DIDONE
 Tu Iarba!
 ENEA
                     Il re de’ Mori!
 DIDONE
435Un re sensi sì rei
 non chiude in seno; un mentitor tu sei.
 Si disarmi.
 IARBA
                        Nessuno (Snuda la spada)
 avvicinarsi ardisca o ch’io lo sveno.
 OSMIDA
 (Cedi per poco almeno, (Piano a Iarba)
440finch’io genti raccolga; a me ti fida).
 IARBA
 (E così vil sarò?) (Piano ad Osmida)
 ENEA
                                   Fermate, amici,
 a me tocca il punirlo.
 DIDONE
                                         Il tuo valore
 serba ad uopo miglior. Che più s’aspetta?
 O si renda, o svenato al piè mi cada.
 OSMIDA
445(Serbati alla vendetta). (Piano a Iarba)
 IARBA
                                              Ecco la spada. (Getta la spada, che viene raccolta dalle guardie, e parte fra quelle)
 DIDONE
 Frenar l’alma orgogliosa (Ad Osmida)
 tua cura sia.
 OSMIDA
                          Su la mia fé riposa. (Parte appresso Iarba)
 
 SCENA XVII
 
 DIDONE ed ENEA
 
 DIDONE
 Enea, salvo già sei
 dalla crudel ferita.
450Per me serban gli dei sì bella vita.
 ENEA
 Oh dio, regina!
 DIDONE
                               Ancora
 forse della mia fede incerto stai?
 ENEA
 No. Più funeste assai
 son le sventure mie. Vuole il destino...
 DIDONE
455Chiari i tuoi sensi esponi.
 ENEA
 Vuol (mi sento morir) ch’io t’abbandoni.
 DIDONE
 M’abbandoni! Perché?
 ENEA
                                            Di Giove il cenno,
 l’ombra del genitor, la patria, il cielo,
 la promessa, il dover, l’onor, la fama
460alle sponde d’Italia oggi mi chiama.
 La mia lunga dimora
 purtroppo degli dei mosse lo sdegno.
 DIDONE
 E così fin ad ora,
 perfido, mi celasti il tuo disegno?
 ENEA
465Fu pietà.
 DIDONE
                    Che pietà? Mendace il labbro
 fedeltà mi giurava;
 e intanto il cor pensava
 come lunge da me volgere il piede!
 A chi, misera me! darò più fede?
470Vil rifiuto dell’onde
 io l’accolgo dal lido; io lo ristoro
 dalle ingiurie del mar; le navi e l’armi
 già disperse io gli rendo; e gli do loco
 nel mio cor, nel mio regno; e questo è poco.
475Di cento re per lui,
 ricusando l’amor, gli sdegni irrito.
 Ecco poi la mercede.
 A chi, misera me! darò più fede?
 ENEA
 Finch’io viva, o Didone,
480dolce memoria al mio pensier sarai;
 né partirei giammai,
 se per voler de’ numi io non dovessi
 consacrare il mio affanno
 all’impero latino.
 DIDONE
485Veramente non hanno
 altra cura gli dei che ’l tuo destino.
 ENEA
 Io resterò, se vuoi
 che si renda spergiuro un infelice.
 DIDONE
 No; sarei debitrice
490dell’impero del mondo a’ figli tuoi.
 Va’ pur; siegui il tuo fato;
 cerca d’Italia il regno; all’onde, ai venti
 confida pur la speme tua; ma senti.
 Farà quell’onde istesse
495delle vendette mie ministre il cielo;
 e tardi allor pentito
 d’aver creduto all’elemento insano,
 richiamerai la tua Didone invano.
 ENEA
 Se mi vedessi il core...
 DIDONE
500Lasciami, traditore.
 ENEA
 Almen dal labbro mio
 con volto meno irato
 prendi l’ultimo addio.
 DIDONE
                                           Lasciami, ingrato.
 ENEA