Ezio, libretto, Parigi, Quillau, 1755

 si sente che diletta
 ma non si sa perché. (Parte)
 
 SCENA X
 
 Gabinetto con sedie.
 
 DIDONE, poi ENEA
 
 DIDONE
 Incerta del mio fato
815io più viver non voglio; è tempo omai
 che per l’ultima volta Enea si tenti.
 Se dirgli i miei tormenti,
 se la pietà non giova,
 faccia la gelosia l’ultima prova.
 ENEA
820Ad ascoltar di nuovo
 i rimproveri tuoi vengo, o regina.
 So che vuoi dirmi ingrato,
 perfido, mancator, spergiuro, indegno;
 chiamami come vuoi, sfoga il tuo sdegno.
 DIDONE
825No, sdegnata io non sono. Infido, ingrato,
 perfido, mancator più non ti chiamo;
 rammentarti non bramo i nostri ardori;
 da te chiedo consigli e non amori.
 Siedi. (Siedono)
 ENEA
                (Che mai dirà!)
 DIDONE
                                               Già vedi, Enea,
830che fra’ nemici è il mio nascente impero.
 Sprezzai finora, è vero,
 le minacce e ’l furor; ma Iarba offeso,
 quando priva sarò del tuo sostegno,
 mi torrà per vendetta e vita e regno.