Ezio, libretto, Stoccarda, Cotta, 1758

45scoprire il mio tormento).
 ENEA
 (Difenditi, mio core, ecco il cimento).
 
 SCENA II
 
 DIDONE con seguito e detti
 
 DIDONE
 Enea, d’Asia splendore,
 di Citerea soave cura e mia,
 vedi come a momenti,
50del tuo soggiorno altera,
 la nascente Cartago alza la fronte.
 Frutto de’ miei sudori
 son quegli archi, que’ templi e quelle mura;
 ma de’ sudori miei
55l’ornamento più grande, Enea, tu sei.
 Tu non mi guardi e taci? In questa guisa
 con un freddo silenzio Enea m’accoglie?
 Forse già dal tuo core
 di me l’immago ha cancellata amore?
 ENEA
60Didone alla mia mente,
 giuro a tutti gli dei, sempre è presente;
 né tempo o lontananza
 potrà sparger d’obblio,
 questo ancor giuro ai numi, il foco mio.
 DIDONE
65Che proteste! Io non chiedo
 giuramenti da te; perch’io ti creda,
 un tuo sguardo mi basta, un tuo sospiro.
 OSMIDA
 (Troppo s’inoltra).
 SELENE
                                     (Ed io parlar non oso).
 ENEA
 Se brami il tuo riposo,
70pensa alla tua grandezza,
 a me più non pensar.
 DIDONE
                                          Che a te non pensi?
 Io che per te sol vivo? Io che non godo
 i miei giorni felici,
 se un momento mi lasci?
 ENEA
                                                Oh dio, che dici!
75E qual tempo scegliesti! Ah troppo, troppo
 generosa tu sei per un ingrato.
 DIDONE