Ezio, libretto, Stoccarda, Cotta, 1758

 la promessa, il dover, l’onor, la fama
 alle sponde d’Italia oggi mi chiama.
 La mia lunga dimora
470purtroppo degli dei mosse lo sdegno.
 DIDONE
 E così fin ad ora,
 perfido, mi celasti il tuo disegno?
 ENEA
 Fu pietà.
 DIDONE
                    Che pietà? Mendace il labbro
 fedeltà mi giurava
475e intanto il cor pensava
 come lunge da me volgere il piede!
 A chi, misera me! darò più fede?
 Vil rifiuto dell’onde
 io l’accolgo dal lido; io lo ristoro
480dalle ingiurie del mar; le navi e l’armi
 già disperse io gli rendo; e gli do loco
 nel mio cor, nel mio regno; e questo è poco.
 Di cento re per lui,
 ricusando l’amor, gli sdegni irrito;
485ecco poi la mercede.
 A chi, misera me! darò più fede?
 ENEA
 Finch’io viva, o Didone,
 dolce memoria al mio pensier sarai;
 né partirei giammai,
490se per voler de’ numi io non dovessi
 consacrare il mio affanno
 all’impero latino.