Ezio, libretto, Lisbona, Stamperia Reale, 1772

                                       Invano, oh dio!
 tentai passar dal tuo soggiorno al lido;
1255tutta del moro infido
 il minaccioso stuol Cartago inonda.
 Fra le strida e i tumulti
 agl’insulti degli empi
 son le vergini esposte, aperti i tempi;
1260né più desta pietade
 o l’immatura o la cadente etade.
 DIDONE
 Dunque alla mia ruina
 più riparo non v’è? (Si comincia a vedere il fuoco nella reggia)
 
 SCENA XVI
 
 SELENE e detti
 
 SELENE
                                       Fuggi, o regina.
 Son vinti i tuoi custodi;
1265non ci resta difesa.
 Dalla cittade accesa
 passan le fiamme alla tua reggia in seno
 e di fumo e faville è il ciel ripieno.
 DIDONE
 Andiam. Si cerchi altrove
1270per noi qualche soccorso.
 OSMIDA
                                                E come?
 SELENE
                                                                  E dove?
 DIDONE
 Venite, anime imbelli;
 se vi manca valore,
 imparate da me come si muore.
 
 SCENA XVII
 
 IARBA con guardie e detti
 
 IARBA
 Fermati.
 DIDONE
                    Oh dei!
 IARBA
                                     Dove così smarrita?
1275Forse al fedel troiano
 corri a stringer la mano?
 Va’ pure, affretta il piede,
 che al talamo reale ardon le tede.
 DIDONE
 Lo so, questo è il momento
1280delle vendette tue; sfoga il tuo sdegno
 or che ogni altro sostegno il ciel mi fura.
 IARBA
 Già ti difende Enea; tu sei sicura.
 DIDONE
 E ben sarai contento.
 Mi volesti infelice? Eccomi sola,
1285tradita, abbandonata,
 senza Enea, senza amici e senza regno.
 Debole mi volesti? Ecco Didone
 ridotta alfine a lagrimar. Non basta?
 Mi vuoi supplice ancor? Sì, de’ miei mali
1290chiedo a Iarba ristoro;
 da Iarba per pietà la morte imploro.
 IARBA
 (Cedon gli sdegni miei).
 SELENE
 (Giusti numi, pietà!)
 OSMIDA
                                          (Soccorso, o dei!)
 IARBA
 E pur, Didone, e pure
1295sì barbaro non son qual tu mi credi.
 Del tuo pianto ho pietà; meco ne vieni.
 L’offese io ti perdono
 e mia sposa ti guido al letto e al trono.
 DIDONE
 Io sposa d’un tiranno,
1300d’un empio, d’un crudel, d’un traditore
 che non sa che sia fede,
 non conosce dover, non cura onore?
 S’io fossi così vile,
 saria giusto il mio pianto.
1305No, la disgrazia mia non giunse a tanto.
 IARBA
 In sì misero stato insulti ancora!
 Olà, miei fidi, andate;
 s’accrescano le fiamme. In un momento
 si distrugga Cartago; e non vi resti
1310orma d’abitator che la calpesti. (Partono due guardie)
 SELENE
 Pietà del nostro affanno!
 IARBA
 Or potrai con ragion dirmi tiranno.
 
    Cadrà fra poco in cenere
 il tuo nascente impero
1315e ignota al passeggiero
 Cartagine sarà.
 
    Se a te del mio perdono
 meno è la morte acerba,
 non meriti, superba,
1320soccorso né pietà. (Parte)
 
 SCENA XVIII
 
 DIDONE, SELENE ed OSMIDA
 
 OSMIDA
 Cedi a Iarba, o Didone.
 SELENE
 Conserva con la tua la nostra vita.
 DIDONE
 Solo per vendicarmi
 del traditore Enea,
1325che è la prima cagion de’ mali miei,
 l’aure vitali io respirar vorrei.
 Ah! Faccia il vento almeno,
 facciano almen gli dei le mie vendette.
 E folgori e saette
1330e turbini e tempeste
 rendano l’aure e l’onde a lui funeste.
 Vada ramingo e solo; e la sua sorte