Ezio, libretto, Lisbona, Stamperia Reale, 1772

 così barbara sia
 che si riduca ad invidiar la mia.
 SELENE
1335Deh modera il tuo sdegno. Anch’io l’adoro
 e soffro il mio tormento.
 DIDONE
                                               Adori Enea!
 SELENE
 Sì, ma per tua cagione...
 DIDONE
                                               Ah disleale!
 Tu rivale al mio amor?
 SELENE
                                            Se fui rivale,
 ragion non hai...
 DIDONE
                                 Dagli occhi miei t’invola;
1340non accrescer più pene
 ad un cor disperato.
 SELENE
 (Misera donna, ove la guida il fato!) (Parte)
 
 SCENA XIX
 
 DIDONE ed OSMIDA
 
 OSMIDA
 Crescon le fiamme e tu fuggir non curi?
 DIDONE
 Mancano più nemici? Enea mi lascia,
1345trovo Selene infida,
 Iarba m’insulta e mi tradisce Osmida.
 Ma che feci, empi numi? Io non macchiai
 di vittime profane i vostri altari;
 né mai di fiamma impura
1350feci l’are fumar per vostro scherno.
 Dunque perché congiura
 tutto il ciel contro me, tutto l’inferno?
 OSMIDA
 Ah pensa a te; non irritar gli dei.
 DIDONE
 Che dei? Son nomi vani,
1355son chimere sognate o ingiusti sono.
 OSMIDA
 (Gelo a tanta empietade e l’abbandono). (Parte. Poco dopo si
 vedono cadere alcune fabbriche e dilatarsi le fiamme nella
 reggia)
 
 SCENA ULTIMA
 
 DIDONE
 
 DIDONE
 Ah che dissi, infelice! A qual eccesso
 mi trasse il mio furore?
 Oh dio, cresce l’orrore! Ovunque io miro,
1360mi vien la morte e lo spavento in faccia;
 trema la reggia e di cader minaccia.
 Selene, Osmida! Ah! Tutti,
 tutti cedeste alla mia sorte infida;
 non v’è chi mi soccorra o chi m’uccida.
 
1365   Vado... Ma dove? Oh dio!
 Resto... Ma poi... che fo?
 Dunque morir dovrò
 senza trovar pietà?
 
 E v’è tanta viltà nel petto mio?
1370No no, si mora; e l’infedele Enea
 abbia nel mio destino
 un augurio funesto al suo cammino.
 Precipiti Cartago,
 arda la reggia; e sia
1375il cenere di lei la tomba mia. (Dicendo l’ultime parole corre Didone a precipitarsi disperata e furiosa nelle ardenti ruine della reggia; e si perde fra i globi di fiamme, di faville e di fumo che si sollevano alla sua caduta. Nel tempo medesimo su l’ultimo orizzonte comincia a gonfiarsi il mare e ad avanzarsi lentamente verso la reggia, tutto adombrato al di sopra da dense nuvole e secondato dal tumulto di strepitosa sinfonia. Nell’avvicinarsi all’incendio, a proporzione della maggior resistenza del fuoco, va crescendo la violenza delle acque. Il furioso alternar dell’onde, il frangersi ed il biancheggiar di quelle nell’incontro delle opposte ruine, lo spesso fragor de’ tuoni, l’interrotto lume de’ lampi e quel continuo muggito marino, che suole accompagnar le tempeste, rappresentano l’ostinato contrasto dei due nemici elementi. Trionfando finalmente per tutto sul fuoco estinto le acque vincitrici, si rasserena improvvisamente il cielo, si dileguano le nubi, si cangia l’orrida in lieta sinfonia; e dal seno dell’onde già placate e tranquille sorge la ricca e luminosa reggia di Nettuno. Nel mezzo di quella assiso nella sua lucida conca, tirata da mostri marini e circondata da festive schiere di nereidi, di sirene e di tritoni, comparisce il nume che appoggiato al gran tridente parla nel seguente tenore)
 
 
 LICENZA
 
 NETTUNO