La favola de’ tre gobbi, partitura ms. F-Pn, [1749-1754] (La favola dei tre gobbi)

1590O sognate speranze! O avverse stelle!
 MASSIMO
 (Ingegnosa pietade!)
 VALENTINIANO
                                         Io mi confondo.
 FULVIA
 (Il genitor si salvi e pera il mondo).
 VALENTINIANO
 Tradimento sì reo pensar potesti?
 Eseguirlo! Vantarlo!
 FULVIA
                                        Ezio innocente
1595morì per colpa mia; non vuo’ che mora
 innocente per Fulvia il padre ancora.
 VALENTINIANO
 Massimo è fido almeno?
 MASSIMO
                                               Adesso Augusto
 colpevole son io; se quell’indegna
 tanto obliar la fedeltà poteo,
1600nell’error della figlia il padre è reo.
 Puniscimi, assicura
 i giorni tuoi col mio morir. Potrebbe
 il naturale affetto,
 che per la prole in ogni petto eccede,
1605del padre un dì contaminar la fede.
 VALENTINIANO
 A suo piacer la sorte
 di me disponga, io m’abbandono a lei.
 Son stanco di temer. Se tanto affanno
 la vita ha da costar, no, non la curo.
1610Nelle dubbiezze estreme
 per mancanza di speme io m’assicuro.
 
    Per tutto il timore
 perigli m’addita.
 Si perda la vita,
1615finisca il martire.
 È meglio morire
 che viver così.
 
    La vita mi spiace,
 se il fato nemico
1620la speme, la pace,
 l’amante, l’amico
 mi toglie in un dì. (Parte)
 
 SCENA XI
 
 MASSIMO e FULVIA
 
 MASSIMO
 Partì una volta. Io per te vivo o figlia,
 io respiro per te. Con quanta forza
1625celai finor la tenerezza! Ah lascia
 mia speme, mio sostegno,
 cara difesa mia, che alfin t’abbracci. (Vuole abbracciar Fulvia)
 FULVIA
 Vanne padre crudel.
 MASSIMO
                                        Perché mi scacci?
 FULVIA
 Tutte le mie sventure
1630io riconosco in te. Basta ch’io seppi
 per salvarti accusarmi.
 Vanne, non rammentarmi
 quanto per te perdei,
 qual son io per tua colpa e qual tu sei.
 MASSIMO
1635E contrastar pretendi
 al grato genitor questo d’affetto
 testimonio verace?
 Vieni... (Come sopra)
 FULVIA
                  Ma per pietà lasciami in pace.
 Se grato essermi vuoi, stringi quel ferro,
1640svenami, o genitor. Questa mercede
 col pianto in su le ciglia
 al padre che salvò chiede una figlia.
 MASSIMO
 
    Tergi l’ingiuste lagrime,
 dilegua il tuo martiro,
1645che s’io per te respiro,
 tu regnerai per me.
 
    Di raddolcirti io spero
 questo penoso affanno
 col dono d’un impero,
1650col sangue d’un tiranno
 che delle nostre ingiurie
 punito ancor non è. (Parte)
 
 SCENA XII
 
 FULVIA
 
 FULVIA
 Misera dove son! L’aure del Tebro
 son queste ch’io respiro?
1655Per le strade m’aggiro
 di Tebe e d’Argo? O dalle greche sponde
 di tragedie feconde
 le domestiche furie
 vennero a questi lidi
1660della prole di Cadmo e degl’Atridi?
 Là d’un monarca ingiusto
 l’ingrata crudeltà m’empie d’orrore.
 D’un padre traditore
 qua la colpa m’agghiaccia;
1665e lo sposo innocente ho sempre in faccia.
 O imagini funeste!
 O memorie! O martiro!
 Ed io parlo infelice! Ed io respiro?
 
    Ah non son io che parlo,
1670è il barbaro dolore
 che mi divide il core,
 che delirar mi fa.
 
    Non cura il ciel tiranno
 l’affanno in cui mi vedo;
1675un fulmine gli chiedo
 e un fulmine non ha. (Parte)
 
 SCENA XIII
 
 Campidoglio antico con popolo.
 
 MASSIMO senza manto con seguito, poi VARO
 
 MASSIMO
 Innorridisci o Roma!
 D’Attila lo spavento, il duce invitto,
 il tuo liberator cadde trafitto.
1680E chi l’uccise? Ah l’omicida ingiusto
 fu l’invidia d’Augusto. Ecco in qual guisa
 premia un tiranno. Or che farà di noi
 chi tanto merto opprime? Ah vendicate
 Romani il vostro eroe; la gloria antica
1685rammentatevi ormai; da un giogo indegno
 liberate la patria e difendete
 dai vicini perigli
 l’onor, la vita e le consorti e i figli. (In atto di partire)
 VARO
 Massimo ferma; e qual desio ribelle,
1690qual furor ti consiglia?
 MASSIMO
 Varo t’acheta o al mio pensier t’appiglia.
 Chi vuol salva la patria (Tutti snudan la spada)
 stringa il ferro e mi siegua, ecco il sentiero (Accennando il Campidoglio)
 onde avrà libertà Roma e l’impero. (Parte seguito da tutti verso il Campidoglio)
 VARO
1695Che indegno! Egli la morte
 d’un innocente affretta
 e poi Roma solleva alla vendetta.
 Va’ pur, forse il disegno
 a chi lo meditò sarà funesto;
1700va’ traditor. Ma qual tumulto è questo! (S’ode brevissimo strepito di trombe e timpani e di tutti l’istromenti dell’orchestra)
 
    Già risonar d’intorno
 al Campidoglio io sento
 di cento voci e cento
 lo strepito guerrier.
 
1705   Che fo? Si vada e sia
 stimolo all’alma mia
 il debito d’amico,