La favola de’ tre gobbi, partitura ms. F-Pn, [1749-1754] (La favola dei tre gobbi)

 tempo non è. Precipitare omai
 il colpo converrà. Troppo parlai.
 Pria che sorga l’aurora
290mora Cesare, mora. Emilio il braccio
 mi presterà. Che può avvenirne? O cade
 Valentiniano estinto; e pago io sono.
 O resta in vita; ed io farò che sembri
 Ezio il fellon. Facile impresa. Augusto
295invido alla sua gloria,
 rivale all’amor suo, senz’opra mia
 il reo lo crederà. S’altro succede,
 io saprò dagli eventi
 prender consiglio. Intanto
300il commettersi al caso
 nell’estremo periglio
 è il consiglio miglior d’ogni consiglio.
 
    Il nocchier che si figura
 ogni scoglio, ogni tempesta
305non si lagni se poi resta
 un mendico pescator.
 
    Darsi in braccio ancor conviene
 qualche volta alla fortuna,
 che sovente in ciò che avviene
310la fortuna ha parte ancor. (Parte)
 
 SCENA VI
 
 Camere imperiali istoriate di pitture.
 
 ONORIA e VARO
 
 ONORIA
 Del vincitor ti chiedo,
 non delle sue vittorie; esse abbastanza
 note mi son. Con qual sembiante accolse
 l’applauso popolar? Serbava in volto
315la guerriera fierezza? Il suo trionfo
 gli accrebbe fasto o mansueto il rese?
 Questo narrami, o Varo, e non l’imprese.
 VARO
 Onoria, a me perdona
 se degli acquisti suoi più che di lui
320la germana d’Augusto
 curiosa io credei. Sembrano queste
 sì minute richieste
 d’amante più che di sovrana.
 ONORIA
                                                       È troppa
 questa del nostro sesso
325misera servitù! Due volte appena
 s’ode dai labbri nostri
 un nome replicar che siamo amanti.
 Parlano tanti e tanti
 del suo valor, delle sue gesta e vanno
330d’Ezio incontro al ritorno; Onoria sola
 nel soggiorno è rimasta,
 non v’accorse, nol vide e pur non basta.
 VARO
 Un soverchio ritegno
 anche d’amore è segno.
 ONORIA
                                             Alla tua fede,
335al tuo lungo servir tolero, o Varo,
 di parlarmi così. Ma la distanza,
 ch’è dal suo grado al mio, teco dovrebbe
 difendermi abbastanza.
 VARO
                                              Ogniuno ammira
 d’Ezio il valor, Roma l’adora, il mondo
340pieno è del nome suo, fino i nemici
 ne parlan con rispetto;
 ingiustizia saria negargli affetto.
 ONORIA
 Giacché tanto ti mostri
 ad Ezio amico, il suo poter non devi
345esagerar così; Cesare è troppo
 d’indole sospettosa.
 Vantandolo al germano, ufficio grato
 all’amico non rendi.
 Chi sa! Potrebbe un dì... Varo m’intendi.
 VARO
350Io, che son d’Ezio amico,
 più cauto parlerò; ma tu se l’ami
 mostrati o principessa
 meno ingegnosa in tormentar te stessa.
 
    Se un bell’ardire
355può innamorarti,
 perché arrossire?
 Perché sdegnarti
 di quello strale
 che ti piagò?
 
360   Chi si fe’ chiaro
 per tante imprese
 già grande al paro
 di te si rese,
 già della sorte
365si vendicò. (Parte)
 
 SCENA VII
 
 ONORIA sola
 
 ONORIA
 Importuna grandezza
 tiranna degli affetti, e perché mai
 ci nieghi, ci contrasti
 la libertà d’un ineguale amore,
370se a difender non basti il nostro cuore?
 
    Quanto mai felici siete,
 innocenti pastorelle
 che in amor non conoscete
 altra legge che l’amor!
 
375   Ancor io sarei felice,
 se potessi all’idol mio
 palesar, come a voi lice,
 il desio di questo cor. (Parte)
 
 SCENA VIII
 
 VALENTINIANO e MASSIMO
 
 VALENTINIANO