La favola de’ tre gobbi, libretto, Milano, Malatesta, 1750

 la tua pietà. (Parte)
 
 SCENA XV
 
 VALENTINIANO e MASSIMO
 
 MASSIMO
 (Or giova il simular). No, non fia vero
 che per vergogna mia viva costei.
 Cesare io corro a lei,
1210voglio passarle il cor.
 VALENTINIANO
                                         T’arresta, amico.
 S’ella muore, io non vivo; ancor potrebbe
 quell’ingrata pentirsi.
 MASSIMO
                                           Al tuo comando
 con pena ubbidirò. Troppo a punirla
 il dover mi consiglia.
 VALENTINIANO
1215Perché simile a te non è la figlia?
 MASSIMO
 
    Col volto ripieno
 di tanto rossore
 più calma nel seno,
 più pace non ho.
 
1220   Oh quanti diranno
 che il perfido inganno
 dal suo genitore
 la figlia imparò! (Parte)
 
 SCENA XVI
 
 VALENTINIANO
 
 VALENTINIANO
 Sdegno, amor, gelosia, cure d’impero,
1225che volete da me? Nemico e amante
 e timido e sdegnato a un punto io sono
 e intanto non punisco e non perdono.
 Ah lo so ch’io dovrei
 obbliar quell’ingrata. Ella è cagione
1230d’ogni sventura mia. Ma di tentarlo
 né pure ardisco; e da una forza ignota
 così mi sento oppresso
 che non desio di superar me stesso.
 
    Che mi giova impero e soglio,
1235s’io non voglio uscir d’affanni,
 s’io nutrisco i miei tiranni
 negli affetti del mio cor?
 
    Che infelice al mondo io sia,
 lo conosco, è colpa mia;
1240non è colpa dello sdegno,
 non è colpa dell’amor.
 
 Fine dell’atto secondo
 
 
 ATTO TERZO
 
 SCENA PRIMA
 
  Atrio delle carceri con cancelli di ferro in prospetto che conducono a diverse prigioni con guardie a vista su la porta de’ detti cancelli.
 
 ONORIA, indi EZIO con catene
 
 ONORIA
 Ezio qui venga. È questa gemma il segno (Alla guardia che parte)
 del cesareo volere. Il suo periglio
 mi fa più amante e la pietà ch’io sento
1245nel vederlo infelice
 tal fomento è all’amor ch’io non so come
 si forma nel mio petto
 di due diversi affetti un solo affetto.
 Eccolo! O come altero,
1250come lieto s’avanza!
 O quell’alma è innocente; o non è vero
 che imagine dell’alma è la sembianza. (Si apre uno de’ cancelli, dal quale esce Ezio, restando le due guardie presso al detto cancello)
 EZIO
 Questi del tuo germano
 son, principessa, i doni. Avresti mai (Mostrando le catene)
1255potuto imaginarlo? In pochi istanti
 tutto cangiò per me. Cinto d’allori
 del giorno al tramontar tu mi vedesti;
 e poi coi lacci intorno
 tu mi rivedi all’apparir del giorno.
 ONORIA
1260Ezio, qualunque nasce alle vicende
 della sorte è soggetto; il primo esempio
 dell’incostanza sua, duce, non sei.
 L’ingiustizia di lei