La favola de’ tre gobbi, libretto, Padova, Conzatti, 1750

 stupido resta il pellegrin che vede
70di marmi adorne e gravi
 sorger le mura, ove ondeggiar le navi.
 VALENTINIANO
 Chi mai non sa qual sia
 d’Antenore la prole? È noto a noi
 che più saggia d’ogni altro
75alle prime scintille
 dell’incendio crudel, ch’Attila accese,
 lasciò i campi e le ville
 e in grembo al mar la libertà difese.
 So già quant’aria ingombra
80la novella cittade e volgo in mente
 qual può sperarsi adulta,
 se nascente è così.
 EZIO
                                    Cesare, io veggo
 i semi in lei delle future imprese;
 già s’avvezza a regnar. Sudditi i mari
85temeranno i suoi cenni; argine all’ire
 sarà de’ regi; e porterà felice
 con mille vele e mille aperte al vento
 ai tiranni dell’Asia alto spavento.
 VALENTINIANO
 Gli auguri fortunati
90secondi il ciel. Fra queste braccia intanto (Scende dal trono)
 tu del cadente impero e mio sostegno
 prendi d’amore un pegno. A te non posso
 offrir che i doni tuoi. Serbami amico
 quei doni istessi; e sappi
95che fra gli acquisti miei
 il più nobile acquisto, Ezio, tu sei.
 
    Se tu la reggi al volo,
 su la tarpea pendice
 l’aquila vincitrice
100sempre tornar vedrò.
 
    Breve sarà per lei
 tutto il cammin del sole;
 e allora i regni miei
 col ciel dividerò. (Parte con Varo e pretoriani)
 
 SCENA III
 
 EZIO, MASSIMO e poi FULVIA con paggi ed alcuni schiavi
 
 MASSIMO
105Ezio, donasti assai
 alla gloria e al dover; qualche momento
 concedi all’amistà; lascia ch’io stringa
 quella man vincitrice. (Massimo prende per mano Ezio)
 EZIO
                                            Io godo, amico,
 nel rivederti e caro
110m’è l’amor tuo de’ miei trionfi al paro.
 Ma Fulvia ove si cela?
 Che fa? Dov’è? Quando ciascun s’affretta
 su le mie pompe ad appagar le ciglia,
 la tua figlia non viene?
 MASSIMO
                                            Ecco la figlia.
 EZIO
115Cara, di te più degno (A Fulvia nell’uscire)
 torna il tuo sposo e al volto tuo gran parte
 deve de’ suoi trofei. Fra l’armi e l’ire
 mi fu sprone egualmente
 e la gloria e l’amor; né vinto avrei,
120se premio a’ miei sudori
 erano solo i trionfali allori.
 Ma come! a’ dolci nomi
 e di sposo e d’amante
 ti veggio impallidir! Doppo la nostra
125lontananza crudel così m’accogli?
 Mi consoli così?
 FULVIA
                                (Che pena!) Io vengo...
 Signor...
 EZIO
                   Tanto rispetto,
 Fulvia, con me! Perché non dirmi fido,
 perché sposo non dirmi? Ah tu non sei
130per me quella che fosti.
 FULVIA
                                             Oh dio! Son quella.
 Ma senti... Ah genitor, per me favella.
 EZIO
 Massimo, non tacer.
 MASSIMO
                                        Tacqui finora,
 perché co’ nostri mali a te non volli
 le gioie avvelenar. Si vive, amico,
135sotto un giogo crudele. Anche i pensieri
 imparano a servir. La tua vittoria,
 Ezio, ci toglie alle straniere offese;
 le domestiche accresce. Era il timore
 in qualche parte almeno
140a Cesare di freno; or che vincesti,
 i popoli dovranno
 più superbo soffrirlo e più tiranno.
 EZIO
 Io tal nol credo. Almeno
 la tirannide sua mi fu nascosa.
145Che pretende? Che vuol?
 MASSIMO
                                                 Vuol la tua sposa.
 EZIO
 La sposa mia! Massimo, Fulvia, e voi
 consentite a tradirmi?
 FULVIA
                                            Aimè!
 MASSIMO
                                                          Qual arte,
 qual consiglio adoprar? Vuoi che l’esponga,
 negandola al suo trono,
150d’un tiranno al piacer? Vuoi che su l’orme
 di Virginio io rinnovi,
 per serbarla pudica,
 l’esempio in lei della tragedia antica?
 Ah tu solo potresti
155frangere i nostri ceppi,
 vendicare i tuoi torti. Arbitro sei
 del popolo e dell’armi. A Roma oppressa,
 all’amor tuo tradito
 dovresti una vendetta. Alfin tu sai
160che non si svena al cielo
 vittima più gradita
 d’un empio re.
 EZIO
                              Che dici mai! L’affanno
 vince la tua virtù. Giudice ingiusto
 delle cose è il dolor. Sono i monarchi
165arbitri della terra,
 di loro è il cielo. Ogni altra via si tenti
 ma non l’infedeltade.
 MASSIMO
                                          Anima grande, (Massimo abbraccia Ezio)
 al par del tuo valore
 ammiro la tua fé che più costante
170nelle offese diviene.
 (Cangiar favella e simular conviene).
 FULVIA
 Ezio così tranquillo
 la sua Fulvia abbandona ad altri in braccio?
 EZIO
 Tu sei pur d’ogni laccio
175disciolta ancora. Io parlerò; vedrai
 tutto cangiar d’aspetto.
 FULVIA
                                             Oh dio! Se parli,
 temo per te.
 EZIO
                          L’imperator finora
 dunque non sa ch’io t’amo?
 MASSIMO
                                                     Il vostro amore
 per tema io gli celai.
 EZIO
                                        Questo è l’errore.
180Cesare non ha colpa; al nome mio
 avria cangiato affetto. Opra da saggio
 l’irritarmi non è.
 FULVIA
                                  Tanto ti fidi?
 Ezio, mille timori
 mi turban l’alma. È troppo amante Augusto;
185troppo ardente tu sei. Rifletti, oh dio,
 pria di parlar. Qualche funesto evento
 mi presagisce il cor. Nacqui infelice
 e sperar non mi lice
 che la sorte per me giammai si cangi.
 EZIO
190Son vincitor; sai che t’adoro; e piangi?
 
    Pensa a serbarmi, o cara,
 i dolci affetti tuoi;
 amami e lascia poi
 ogni altra cura a me.
 
195  Tu mi vuoi dir col pianto
 che resti in abbandono.
 No, così vil non sono;
 e meco ingrato tanto
 no, Cesare non è. (Parte)
 
 SCENA IV
 
 MASSIMO e FULVIA
 
 FULVIA
200È tempo, o genitore,
 che uno sfogo conceda al mio rispetto.
 Tu pria d’Ezio all’affetto
 prometti la mia destra; indi m’imponi
 ch’io soffra, ch’io lusinghi
205di Cesare l’amore e m’assicuri
 che di lui non sarò. Servo al tuo cenno;
 credo alla tua promessa; e quando spero
 d’Ezio stringer la mano,
 ti sento dir che lo sperarlo è vano.
 MASSIMO
210Io d’ingannarti, o figlia,
 mai non ebbi il pensier. T’accheta; alfine
 non è il peggior de’ mali
 il talamo d’Augusto.
 FULVIA
                                       E soffrirai
 ch’abbia sposa la figlia
215chi della tua consorte
 insultò l’onestà? Così ti scordi
 l’offese dell’onor? Così t’abbagli
 del trono allo splendor?
 MASSIMO
                                             Vieni al mio seno,
 degna parte di me. Quell’odio illustre
220merita ch’io ti scopra
 ciò che dovrei celar. Sappi che ad arte
 dell’onor mio dissimulai l’offese.
 Perde l’odio palese
 il luogo alla vendetta. Ora è vicina;
225eseguirla dobbiam. Sposa al tiranno,
 tu puoi svenarlo o almeno
 agio puoi darmi a trapassargli il seno.
 FULVIA
 Che sento! E con qual fronte
 posso a Cesare offrirmi
230coll’idea di tradirlo? Il reo disegno
 mi leggerebbe in faccia. a’ gran delitti
 è compagno il timor. L’alma ripiena
 tutta della sua colpa
 teme sé stessa. È qualche volta il reo
235felice sì, non mai sicuro. E poi
 vindice di sua morte
 il popolo saria.
 MASSIMO
                              L’odia ciascuno;