La favola de’ tre gobbi, libretto, Padova, Conzatti, 1750

 se a difender non basti il nostro core?
 
370   Quanto mai felici siete,
 innocenti pastorelle,
 che in amor non conoscete
 altra legge che l’amor.
 
    Ancor io sarei felice,
375se potessi all’idol mio
 palesar, come a voi lice,
 il desio di questo cor. (Parte)
 
 SCENA VIII
 
 VALENTINIANO e MASSIMO
 
 VALENTINIANO
 Ezio sappia ch’io bramo
 seco parlar, che qui l’attendo. (Ad una comparsa che ricevuto l’ordine parte) Amico,
380comincia ad adombrarmi
 la gloria di costui; ciascun mi parla
 delle conquiste sue; Roma lo chiama
 il suo liberator; egli sé stesso
 troppo conosce. Assicurarmi io deggio
385della sua fedeltà. Voglio d’Onoria
 al talamo inalzarlo, acciò che sia
 suo premio il nodo e sicurezza mia.
 MASSIMO
 Veramente per lui giunge all’eccesso
 l’idolatria del volgo; omai si scorda
390quasi del suo sovrano.
 E un suo cenno potria...
 Basta, credo che sia
 Ezio fedele; e ’l dubitarne è vano.
 Se però tal non fosse, a me parrebbe
395mal sicuro riparo
 tanto inalzarlo.
 VALENTINIANO
                              Un sì gran dono ammorza
 l’ambizion d’un’alma.
 MASSIMO
                                           Anzi l’accende.
 Quando è vasto l’incendio, è l’onda istessa
 alimento alla fiamma.
 VALENTINIANO
                                           E come io spero
400sicurezza miglior? Vuoi ch’io m’impegni
 su l’orme de’ tiranni, e ch’io divenga
 all’odio universale oggetto e segno?
 MASSIMO
 La prima arte del regno
 è il soffrir l’odio altrui. Giova al regnante
405più l’odio che l’amor. Con chi l’offende
 ha più ragion d’esercitar l’impero.
 VALENTINIANO
 Massimo, non è vero.
 Chi fa troppo temersi
 teme l’altrui timor. Tutti gli estremi
410confinano fra loro. Un dì potrebbe
 il volgo contumace
 per soverchio timor rendersi audace.
 MASSIMO
 Signor, meglio d’ogni altro
 sai l’arte di regnare. Hanno i monarchi
415un lume ignoto a noi. Parlai finora
 per zelo sol del tuo riposo; e volli
 rammentar che si deve
 ad un periglio opporsi infin ch’è lieve.
 
    Se povero il ruscello
420mormora lento e basso,
 un ramoscello, un sasso
 quasi arrestar lo fa.
 
    Ma se alle sponde poi
 gonfio d’umor sovrasta,
425argine oppor non basta;
 e co’ ripari suoi
 torbido al mar sen va. (Parte)
 
 SCENA IX
 
 VALENTINIANO, poi EZIO
 
 VALENTINIANO
 Del ciel felice dono
 sembra il regno a chi sta lunge dal trono;
430ma sembra il trono istesso
 dono infelice a chi gli sta dappresso.
 EZIO
 Eccomi al cenno tuo.
 VALENTINIANO
                                        Duce, un momento
 non posso tollerar d’esserti ingrato.
 Il Tebro vendicato,
435la mia grandezza, il mio riposo e tutto
 del senno tuo, del tuo valore è frutto.
 Se prodigo ti sono
 anche del soglio mio rendo e non dono;
 onde in tanta ricchezza, allor che bramo
440ricompensare un vincitore amico,
 trovo, chi ’l crederia? ch’io son mendico.
 EZIO
 Signor, quando fra l’armi
 a pro di Roma, a pro di te sudai,
 nell’opra istessa io la mercé trovai.
445Che mi resta a bramar? L’amor d’Augusto
 quando ottener poss’io,
 basta questo al mio cor.
 VALENTINIANO
                                              Non basta al mio.
 Vuo’ che ’l mondo conosca
 che se premiarti appieno
450Cesare non poté, tentollo almeno.
 Ezio, il cesareo sangue
 s’unisca al tuo. D’affetto
 darti pegno maggior non posso mai.
 Sposo d’Onoria al nuovo dì sarai.
 EZIO
455(Che ascolto!)
 VALENTINIANO