La favola de’ tre gobbi, libretto, Torino, Cafasso, [1750] (I tre gobbi rivali in amore)

 è necessaria a noi. Troppo maggiore
 d’un femminil talento
 questa cura saria. Lasciane il peso
 a chi di te più visse
740e più saggio è di te.
 FULVIA
                                      Dunque ti renda
 l’età più giusto ed il saper.
 MASSIMO
                                                   Se tento
 l’onor mio vendicar, non sono ingiusto.
 E se lo fossi ancor presa è la via;
 ed a ritrarne il piè tardi saria.
 FULVIA
745Non è mai troppo tardi onde si rieda
 per le vie di virtù. Torna innocente
 chi detesta l’error.
 MASSIMO
                                    Posso una volta
 ottener che non parli? Alfin che brami?
 Insegnar mi vorresti
750ciò che da me apprendesti? O vuoi ch’io serva
 al tuo debole amor? Fulvia, raffrena
 i tuoi labbri loquaci;
 e in avvenir non irritarmi e taci.
 FULVIA
 Ch’io taccia e non t’irriti allor che veggio
755il monarca assalito,
 te reo del gran misfatto, Ezio tradito?
 Lo tolleri chi può; d’ogni rispetto
 o mi disciogli o quando
 rispettosa mi vuoi, cangia il comando.
 MASSIMO
760Ah perfida! Conosco
 che vuoi sacrificarmi al tuo desio.
 Va’; dell’affetto mio,
 che nulla ti nascose, empia, t’abusa;
 e per salvar l’amante, il padre accusa.
 
765   Va’ dal furor portata,
 palesa il tradimento;
 ma ti sovvenga, ingrata,
 il traditor qual è.
 
    Scopri la frode ordita;
770ma pensa in quel momento
 ch’io ti donai la vita,
 che tu la togli a me. (Parte)
 
 SCENA V
 
 FULVIA, poi EZIO
 
 FULVIA
 Che fo? Dove mi volgo? Egual delitto
 è il parlar e il tacer? Se parlo, oh dio!
775son parricida e nel pensarlo io tremo.
 Se taccio, al giorno estremo
 giunge il mio bene. Ah che all’idea funesta
 s’agghiaccia il sangue e intorno al cor s’arresta.
 Ah qual consiglio mai...
780Ezio, dove t’inoltri? Ove ten vai? (Vedendo Ezio)
 EZIO
 In difesa d’Augusto. Intesi...
 FULVIA
                                                      Ah fuggi.
 In te del tradimento
 cade il sospetto.
 EZIO
                                In me! Fulvia, t’inganni.
 Ha troppe prove il Tebro
785della mia fedeltà. Chi seppe ogni altro
 superar con l’imprese
 maggior d’ogni calunnia anche si rese.
 FULVIA
 Ma se Cesare istesso il reo ti chiama,
 s’io stessa l’ascoltai.
 EZIO
                                       Può dirlo Augusto
790ma crederlo non può; s’anche un momento
 giungesse a dubitarne, ove si volga
 vede la mia difesa. Italia, il mondo,
 la sua grandezza, il conservato impero
 rinfacciar gli saprà che non è vero.
 FULVIA
795So che la tua ruina
 vendicata saria; ma chi m’accerta
 d’una pronta difesa? Ah s’io ti perdo,
 la più crudel vendetta
 della perdita tua non mi consola.
800Fuggi, se m’ami, al mio timor t’invola.
 EZIO
 Tu per soverchio affetto, ove non sono
 ti figuri i perigli.
 FULVIA
                                  E dove fondi
 questa tua sicurezza?
 Forse nel tuo valore? Ezio, gli eroi
805son pur mortali e ’l numero gli opprime.
 Forse nel merto? Ah che per questo, o caro,
 sventure io ti predico;
 il merto appunto è il tuo maggior nemico.
 EZIO
 La sicurezza mia, Fulvia, è riposta
810nel cor candido e puro
 che rimorsi non ha, nell’innocenza,
 che paga è di sé stessa, in questa mano
 necessaria all’impero. Augusto alfine
 non è barbaro o stolto.
815E se perde un mio pari,
 conosce anche un tiranno
 qual dura impresa è ristorarne il danno.
 
 SCENA VI
 
 VARO con pretoriani e detti
 
 FULVIA
 Varo, che rechi?
 EZIO
                                 È salva
 di Cesare la vita? Al suo riparo
820può giovar l’opra mia?
 Che fa?
 VARO
                  Cesare appunto a te m’invia.
 EZIO
 A lui dunque si vada.
 VARO
 Non vuol questo da te, vuol la tua spada.
 EZIO
 Come?
 FULVIA
                 Il previdi.
 EZIO
                                      E qual follia lo mosse?
825E possibil sarà?
 VARO
                                Così non fosse.
 La tua compiango, amico,
 e la sventura mia che mi riduce
 un ufficio a compir contrario tanto
 alla nostra amicizia, al genio antico.
 EZIO
830Prendi. Augusto compiangi e non l’amico. (Gli dà la spada)
 
    Recagli quell’acciaro
 che gli difese il trono;
 rammentagli chi sono
 e vedilo arrossir.
 
835   E tu serena il ciglio,
 se l’amor mio t’è caro; (A Fulvia)
 l’unico mio periglio
 sarebbe il tuo martir. (Parte con guardie)
 
 SCENA VII
 
 FULVIA e VARO
 
 FULVIA
 Varo, se amasti mai, de’ nostri affetti
840pietà dimostra e d’un oppresso amico
 difendi l’innocenza.
 VARO
                                       Or che m’è noto
 il vostro amor, la pena mia s’accresce
 e giovarvi io vorrei; ma troppo, oh dio!
 Ezio è di sé nemico; ei parla in guisa
845che irrita Augusto.
 FULVIA
                                     Il suo costume altero
 è palese a ciascuno. Omai dovrebbe
 non essergli delitto. Alfin tu vedi
 che se de’ merti suoi così favella,
 ei non è menzognero.
 VARO
850Qualche volta è virtù tacere il vero.
 Se non lodo il suo fasto,
 è segno d’amistà. Saprò per lui
 impiegar l’opra mia;
 ma voglia il ciel che inutile non sia.
 FULVIA
855Non dir così; niega agli afflitti aita
 chi dubbiosa la porge.
 VARO
                                           Egli è sicuro
 sol che tu voglia; a Cesare ti dona
 e consorte di lui tutto potrai.
 FULVIA
 Che ad altri io voglia mai
860fuor che ad Ezio donarmi, ah non fia vero.
 VARO
 Ma, Fulvia, per salvarlo, in qualche parte
 ceder convien. Tu puoi l’ira d’Augusto
 sola placar; non differirlo e in seno
 se amor non hai per lui, fingilo almeno.
 FULVIA
865Seguirò il tuo consiglio
 ma chi sa con qual sorte. È sempre un fallo
 il simulare. Io sento
 che vi ripugna il core.
 VARO
                                          In simil caso
 il fingere è permesso;
870e poi non è gran pena al vostro sesso.
 FULVIA
 
    Quel fingere affetto
 allor che non s’ama
 per molti è diletto;
 ma pena la chiama
875quest’alma non usa
 a fingere amor.
 
    Mi scopre, m’accusa
 se parla, se tace
 il labbro seguace
880dei moti del cor. (Parte)
 
 SCENA VIII
 
 VARO
 
 VARO
 Folle è colui che al tuo favor si fida,
 instabile fortuna. Ezio felice
 della romana gioventù poc’anzi
 era oggetto all’invidia,
885misura ai voti e in un momento poi
 così cangia d’aspetto
 che dell’altrui pietà si rende oggetto.
 Purtroppo, o sorte infida,
 folle è colui che al tuo favor si fida.
 
890   Nasce al bosco in rozza cuna
 un felice pastorello
 e con l’aure di fortuna
 giunge i regni a dominar.
 
    Presso al trono in regie fasce
895sventurato un altro nasce