La favola de’ tre gobbi, libretto, Firenze, Pieri, 1751 (I tre gobbi rivali)

                             Ch’io non lo speri! Infida,
1195non sai quanto potrò...
 FULVIA
                                            Potrai svenarmi
 ma per farmi temer debole or sei.
 Han vinto ogni timore i mali miei.
 
    La mia costanza
 non si sgomenta,
1200non ha speranza,
 timor non ha.
 
    Son giunta a segno
 che mi tormenta
 più del tuo sdegno
1205la tua pietà. (Parte)
 
 SCENA XV
 
 VALENTINIANO e MASSIMO
 
 MASSIMO
 (Or giova il simular). No, non sia vero
 che per vergogna mia viva costei.
 Cesare, io corro a lei,
 voglio passarle il cor.
 VALENTINIANO
                                         T’arresta, amico.
1210S’ella muore, io non vivo. Ancor potrebbe
 quell’ingrata pentirsi.
 MASSIMO
                                           Al tuo comando
 con pena ubbidirò. Troppo a punirla
 il dover mi consiglia.
 VALENTINIANO
 Perché simile a te non è la figlia!
 MASSIMO
 
1215   Col volto ripieno
 di tanto rossore
 più calma nel seno,
 più pace non ho.
 
    Oh quanti diranno
1220che ’l perfido inganno
 dal suo genitore
 la figlia imparò! (Parte)
 
 SCENA XVI
 
 VALENTINIANO
 
 VALENTINIANO
 Sdegno, amor, gelosia, cure d’impero
 che volete da me? Nemico e amante
1225e timido e sdegnato a un punto io sono;
 e intanto non punisco e non perdono.
 Ah lo so ch’io dovrei
 obbliar quell’ingrata. Ella è cagione
 d’ogni sventura mia. Ma di tentarlo
1230neppure ardisco; e da una forza ignota
 così mi sento oppresso
 che non desio di superar me stesso.
 
    Che mi giova impero e soglio,
 s’io non voglio uscir d’affanni,
1235s’io nutrisco i miei tiranni
 negli affetti del mio cor?
 
    Che infelice al mondo io sia,
 lo conosco, è colpa mia;
 non è colpa dello sdegno,
1240non è colpa dell’amor.
 
 Fine dell’atto secondo
 
 
 ATTO TERZO
 
 SCENA PRIMA
 
  Atrio delle carceri con cancelli di ferro in prospetto che conducono a diverse prigioni con guardie a vista su la porta de’ detti cancelli.
 
 ONORIA, indi EZIO con catene
 
 ONORIA
 Ezio qui venga. È questa gemma il segno (Alla guardia che parte)
 del cesareo volere. Il suo periglio
 mi fa più amante; e la pietà ch’io sento
 nel vederlo infelice
1245tal fomento è all’amor ch’io non so come
 si forma nel mio petto
 di due diversi affetti un solo affetto.
 Eccolo. Oh come altero,
 come lieto s’avanza!
1250O quell’alma è innocente o non è vero
 che immagine dell’alma è la sembianza. (Si apre uno de’ cancelli dal quale esce Ezio, restando le due guardie presso al detto cancello)
 EZIO
 Questi del tuo germano
 son, principessa, i doni. Avresti mai (Mostrando le catene)
 potuto immaginarlo? In pochi istanti
1255tutto cangiò per me. Cinto d’allori
 del giorno al tramontar tu mi vedesti;
 e poi co’ lacci intorno
 tu mi rivedi all’apparir del giorno.
 ONORIA
 Ezio, qualunque nasce alle vicende
1260della sorte è soggetto. Il primo esempio
 dell’incostanza sua, duce, non sei.
 L’ingiustizia di lei
 tu potresti emendar. Per mia richiesta
 Cesare l’ira sua tutta abbandona;
1265t’ama, ti vuole amico e ti perdona.
 EZIO
 E ’l crederò?
 ONORIA
                          Sì; né domanda Augusto
 altra emenda da te che il suo riposo.
 Del tentativo ascoso
 scopri la trama; e appieno
1270libero sei. Può domandar di meno?
 EZIO
 Non è poca richiesta. Ei vuol ch’io stesso
 m’accusi per timore; ei vuole a prezzo
 dell’innocenza mia
 generoso apparir. Sa la mia fede;
1275prova rossor nell’oltraggiarmi a torto;
 perciò mi vuole o delinquente o morto.
 ONORIA
 Dunque con tanto fasto
 lo sdegno suo giustificar non dei;
 e se innocente sei, placide, umili
1280sian le tue scuse. A lui favella in modo
 che non possa incolparti,
 che non abbia coraggio a condannarti.
 EZIO
 Onoria, per salvarmi,
 ad esser vile io non appresi ancora.
 ONORIA
1285Ma sai che corri a morte?
 EZIO
                                                 E ben, si mora.
 Non è il peggior de’ mali
 alfin questo morir; ci toglie almeno
 dal commercio de’ rei.
 ONORIA
                                            Pensar dovresti
 che per la patria tua poco vivesti.
 EZIO
1290Il viver si misura
 dall’opre e non dai giorni. Onoria, i vili
 inutili a ciascuno, a sé mal noti,
 cui non scaldò di bella gloria il foco,
 vivendo lunga età, vissero poco.
1295Ma coloro che vanno
 per l’orme ch’io segnai,
 vivendo pochi dì, vivono assai.
 ONORIA
 Se di te non hai cura,
 abbila almen di me.
 EZIO
                                        Che dici?
 ONORIA
                                                            Io t’amo,
1300più tacerlo non so. Quando mi veggo
 a perderti vicina, i torti oblio.
 Ed è poca difesa