La favola de’ tre gobbi, libretto, Venezia, Tevernin, 1753

 MASSIMO
 (Io però non obblio l’ingiuria antica).
 
 SCENA II
 
 EZIO preceduto da istromenti bellici, schiavi ed insegne de’ vinti, seguito da’ soldati vincitori e popolo, e detti
 
 EZIO
30Signor, vincemmo. Ai gelidi Trioni
 il terror de’ mortali
 fuggitivo ritorna. Il primo io sono
 che mirasse finora
 Attila impallidir. Non vide il sole
35più numerosa strage. A tante morti
 era angusto il terreno; il sangue corse
 in torbidi torrenti;
 le minacce, i lamenti
 s’udian confusi; e fra i timori e l’ire
40erravano indistinti
 i forti, i vili, i vincitori, i vinti.
 Né gran tempo dubbiosa
 la vittoria ondeggiò. Teme, dispera,
 fugge il tiranno; e cede
45di tante ingiuste prede,
 impacci al suo fuggir, l’acquisto a noi.
 Se una prova ne vuoi,
 mira le vinte schiere:
 ecco l’armi, l’insegne e le bandiere.
 VALENTINIANO
50Ezio, tu non trionfi
 d’Attila sol; nel debellarlo ancora
 vincesti i voti miei. Tu rassicuri
 su la mia fronte il vacillante alloro;
 tu il marzial decoro
55rendesti al Tebro; e deve
 alla tua mente, alla tua destra audace
 l’Italia tutta e libertade e pace.
 EZIO
 L’Italia i suoi riposi
 tutta non deve a me; v’è chi gli deve
60solo al proprio valore. All’Adria in seno
 un popolo d’eroi s’aduna e cangia
 in asilo di pace
 l’instabile elemento.
 Con cento ponti e cento
65le sparse isole unisce;
 colle moli impedisce
 all’ocean la libertà dell’onde;
 e intanto su le sponde
 stupido resta il pellegrin che vede
70di marmi adorne e gravi
 sorger le mura, ove ondeggiar le navi.
 VALENTINIANO
 Chi mai non sa qual sia
 d’Antenore la prole? È noto a noi
 che più saggia d’ogni altro
75alle prime scintille
 dell’incendio crudel, ch’Attila accese,
 lasciò i campi e le ville
 e in grembo al mar la libertà difese.
 So già quant’aria ingombra
80la novella cittade e volgo in mente
 qual può sperarsi adulta,
 se nascente è così.
 EZIO
                                    Cesare, io veggo
 i semi in lei delle future imprese.
 Già s’avvezza a regnar. Sudditi i mari
85temeranno i suoi cenni; argine all’ire
 sarà de’ regi; e porterà felice
 con mille vele e mille aperte al vento
 ai tiranni dell’Asia alto spavento.
 VALENTINIANO
 Gli auguri fortunati
90secondi il ciel. Fra queste braccia intanto (Scende dal trono)
 tu del cadente impero e mio sostegno
 prendi d’amore un pegno. A te non posso
 offrir che i doni tuoi. Serbami, amico,
 quei doni istessi; e sappi
95che fra gli acquisti miei
 il più nobile acquisto, Ezio, tu sei.
 
    Se tu la reggi al volo,
 su la tarpea pendice
 l’aquila vincitrice
100sempre tornar vedrò.
 
    Breve sarà per lei
 tutto il cammin del sole;
 e allora i regni miei
 col ciel dividerò. (Parte con Varo e pretoriani)
 
 SCENA III
 
 EZIO, MASSIMO e poi FULVIA con paggi ed alcuni schiavi
 
 MASSIMO
105Ezio, donasti assai
 alla gloria e al dover; qualche momento
 concedi all’amistà; lascia ch’io stringa
 quella man vincitrice. (Massimo prende per mano Ezio)
 EZIO
                                            Io godo, amico,
 nel rivederti e caro
110m’è l’amor tuo de’ miei trionfi al paro.
 Ma Fulvia ove si cela?
 Che fa? Dov’è? Quando ciascun s’affretta
 su le mie pompe ad appagar le ciglia,
 la tua figlia non viene?
 MASSIMO
                                            Ecco la figlia.
 EZIO
115Cara, di te più degno (A Fulvia nell’uscire)
 torna il tuo sposo e al volto tuo gran parte
 deve de’ suoi trofei. Fra l’armi e l’ire
 mi fu sprone egualmente
 e la gloria e l’amor; né vinto avrei,
120se premio a’ miei sudori
 erano solo i trionfali allori.
 Ma come! a’ dolci nomi
 e di sposo e d’amante
 ti veggo impallidir! Dopo la nostra
125lontananza crudel così m’accogli?
 Mi consoli così?
 FULVIA
                                (Che pena!) Io vengo...
 Signor...
 EZIO
                   Tanto rispetto,
 Fulvia, con me! Perché non dirmi fido?
 Perché sposo non dirmi? Ah! Tu non sei
130per me quella che fosti.
 FULVIA
                                             Oh dio! Son quella.
 Ma senti... Ah genitor! Per me favella.
 EZIO
 Massimo, non tacer.
 MASSIMO
                                        Tacqui finora,
 perché co’ nostri mali a te non volli
 le gioie avvelenar. Si vive, amico,
135sotto un giogo crudel. Anche i pensieri
 imparano a servir. La tua vittoria,
 Ezio, ci toglie alle straniere offese;
 le domestiche accresce. Era il timore
 in qualche parte almeno
140a Cesare di freno; or che vincesti,
 i popoli dovranno
 più superbo soffrirlo e più tiranno.
 EZIO
 Io tal nol credo. Almeno
 la tirannide sua mi fu nascosa.
145Che pretende? Che vuol?
 MASSIMO
                                                 Vuol la tua sposa.
 EZIO