La favola de’ tre gobbi, libretto, Torino, Olzati, 1757

 pensa a provarlo; assicurarmi intanto
 di te vogl’io.
 FULVIA
                          (M’assista il ciel).
 VALENTINIANO
                                                            Qual altro
985insidiar mi potea?
 Olà.
 FULVIA
            Barbaro, ascolta; io son la rea.
 Io commisi ad Emilio
 la morte tua; quella son io che tanto
 cara ti fui per mia fatal sventura.
990Io, perfido, son quella
 che oltragiasti in amor, quando ad Onoria
 offristi il mio consorte. Ah se nemici
 non eran gl’astri ai desideri miei,
 vendicata sarei,
995regnarebbe il mio sposo. Il mondo e Roma
 non gemerebbe oppressa
 da un cor tiranno e da una destra imbelle.
 Oh sognate speranze! O avverse stelle!
 MASSIMO
 (Ingegnosa pietade!)
 VALENTINIANO
                                         Io mi confondo.
 FULVIA
1000(Il genitor si salvi e pera il mondo).
 VALENTINIANO
 A suo piacer la sorte
 di me disponga, io m’abbandono a lei.
 Son stanco di temer. Se tanto affanno
 la vita ha da costar, no, non la curo.
1005Nelle dubiezze estreme
 per mancanza di speme io m’assicuro.
 
    Per tutto il timore
 perigli m’addita.
 Si perda la vita,
1010finisca il martire;
 è meglio morire
 che viver così.
 
    La vita mi spiace,
 se il fato nemico
1015la speme, la pace,
 l’amante, l’amico
 mi toglie in un dì. (Parte)
 
 SCENA VIII
 
 MASSIMO e FULVIA
 
 MASSIMO
 Partì una volta. Io per te vivo, o figlia,
 io respiro per te. Con quanta forza
1020celai finor la tenerezza? Ah lascia,
 mia speme, mio sostegno,
 cara difesa mia, che alfin t’abbracci. (Vuole abbracciar Fulvia)
 FULVIA
 Vanne padre crudel.
 MASSIMO
                                        Perché mi scacci?
 FULVIA
 Tutte le mie sventure
1025riconosco da te.
 MASSIMO
                               Negar tu vuoi
 al grato genitor questo d’affetto
 testimonio verace?
 Vieni... (Come sopra)
 FULVIA
                  Ma per pietà lasciami in pace!
 Se grato esser mi vuoi, stringi quel ferro,
1030svenami, o genitor. Questa mercede
 col pianto in su le ciglia
 al padre che salvò chiede una figlia.
 MASSIMO
 
    Tergi l’ingiuste lagrime,
 dilegua il tuo martiro,
1035che s’io per te respiro,
 tu regnerai per me.
 
    Di raddolcirti io spero
 questo penoso affanno
 col dono d’un impero,
1040col sangue d’un tiranno
 che delle nostre ingiurie
 punito ancor non è. (Parte)
 
 SCENA IX
 
 FULVIA
 
 FULVIA
 Misera dove son! L’aure del Tebro
 son queste ch’io respiro?
1045Per le strade m’aggiro
 di Tebe e d’Argo; o dalle greche sponde
 di tragedie feconde
 le domestiche furie
 vennero a questi lidi
1050della prole di Cadmo e degl’Atridi?
 Là d’un monarca ingiusto
 l’ingrata crudeltà m’empie d’orrore;
 d’un padre traditore
 qua la colpa m’agghiaccia;
1055e lo sposo innocente ho sempre in faccia.
 O immagini funeste!
 O memorie! O martiro!
 Ed io parlo infelice? Ed io respiro?
 
    Ah! Non son io che parlo;
1060è il barbaro dolore
 che mi divide il core,
 che delirar mi fa.
 
    Non cura il ciel tiranno
 l’affanno in cui mi vedo;
1065un fulmine gli chiedo
 e un fulmine non ha. (Parte)
 
 SCENA X
 
 Luogo magnifico con scalinate che conducono al Campidoglio antico.
 
 MASSIMO senza manto con seguito
 
 MASSIMO