La favola de’ tre gobbi, libretto, Monaco, Vötter, 1758 (Li tre gobbi rivali amanti di madama Vezzosa)

 ch’io soffra Augusto amante, almen fintanto
145ch’Ezio ritorni, Ezio ritorna e quando
 spero di lui la mano,
 ti sento dir che lo sperarlo è vano.
 MASSIMO
 Figlia, non t’ingannai: sol che tu voglia
 paghi in breve saranno
150l’amor tuo, l’odio mio. D’Augusto accendi
 consorte il trono...
 FULVIA
                                    Io!
 MASSIMO
                                            Sì. Sposa al tiranno
 tu puoi svenarlo: o almeno
 agio puoi darmi a trapassargli il seno.
 FULVIA
 Che sento! E con qual fronte
155posso a Cesare offrirmi
 col pensier di tradirlo? Il reo disegno
 mi leggerebbe in faccia. Io di tal colpa
 gelo alla sola idea.
 MASSIMO
 Molto, o Fulvia, più saggia io ti credea.
160Qual colpa? Qual virtù? Lacci servili
 sol dell’anime vili...
 FULVIA
                                      Ah non son questi
 que’ semi di virtù che in me versasti
 da’ miei primi vagiti infino ad ora.
 M’inganni adesso o m’ingannasti allora?
 MASSIMO
165Ogni diversa etade
 vuol massime diverse; altro a’ fanciulli,
 altro agli adulti è d’insegnar permesso;
 allora io t’ingannai.
 FULVIA
                                      M’inganni adesso.
 Che l’odio della colpa,
170che l’amor di virtù nasce con noi,
 che da’ principi suoi
 l’alma ha l’idea di ciò che nuoce o giova,
 mel dicesti, io lo sento, ognun lo prova.
 E se vuoi dirmi il ver, tu stesso, o padre,
175quando toglier mi tenti
 l’orror d’un tradimento, orror ne senti.
 Ah se cara io ti sono,
 pensa alla gloria tua, pensa che vai...
 MASSIMO
 Taci, importuna, io t’ho sofferta assai.
180Non dar consigli o consigliar se brami,
 le tue pari consiglia.
 Rammenta ch’io son padre e tu sei figlia.
 FULVIA
 
    Caro padre, a me non dei
 rammentar che padre sei;
185io lo so; ma in questi accenti
 non ritrovo il genitor.
 
    Non son io che ti consiglia;
 è il rispetto d’un regnante,
 è l’affetto d’una figlia,
190è il rimorso del tuo cor. (Parte)
 
 SCENA V
 
 MASSIMO solo
 
 MASSIMO
 Che sventura è la mia! Così ripiena
 di malvagi è la terra, e quando poi
 un malvagio vogl’io, son tutti eroi.
 Ma già troppo parlai.
195Pria che sorga l’aurora,
 mora Cesare, mora. Emilio il braccio
 mi presterà. Che può avvenirne? O cade
 Valentiniano estinto; e pago io sono;
 o resta in vita; ed io farò che sembri
200Ezio il fellone.  Intanto
 il commettersi al caso
 nell’estremo periglio
 è il consiglio miglior d’ogni consiglio.
 
    Il nocchier che si figura
205ogni scoglio, ogni tempesta,
 non si lagni se poi resta
 un mendico pescator.
 
    Darsi in braccio ancor conviene
 qualche volta alla fortuna,
210che sovente in ciò ch’avviene
 la fortuna ha parte ancor. (Parte)
 
 SCENA VI
 
 Camere imperiali istoriate di pitture.
 
 ONORIA e VARO
 
 ONORIA
 Del vincitor ti chiedo,
 non delle sue vittorie; esse abbastanza
 note mi son. Con qual sembiante accolse
215l’applauso popolar? Serbava in volto
 la guerriera fierezza? Il suo trionfo
 gli accrebbe fasto o mansueto il rese?
 Questo narrami, o Varo, e non l’imprese.
 VARO
 Onoria, a me perdona
220se degli acquisti suoi, piucché di lui
 la germana d’Augusto
 curiosa io credei. Sembra che queste
 sian premure d’amore.
 ONORIA
                                             Alla tua fede,
 al tuo lungo servir tollero, o Varo,
225di parlarmi così. Ma tu che tanto
 sei d’Ezio amico, il suo poter non devi
 esagerar così. Cesare è troppo
 d’indole sospettosa.
 Vantandolo al germano, ufficio grato
230all’amico non rendi.
 Chi sa? Potrebbe un dì... Varo, m’intendi.
 VARO
 Io, che son d’Ezio amico,
 più cauto parlerò; ma tu, se l’ami,
 mostrati, o principessa,
235meno ingegnosa in tormentar te stessa. (Parte)
 
 SCENA VII
 
 ONORIA sola
 
 ONORIA
 Importuna grandezza
 tiranna degli affetti, e perché mai
 ci neghi, ci contrasti
 la libertà d’un ineguale amore,
240se a difender non basti il nostro cuore?
 
    Quanto mai felici siete,
 innocenti pastorelle
 che in amor non conoscete
 altra legge che l’amor!
 
245   Ancor io sarei felice,
 se potessi all’idol mio
 palesar, come a voi lice,
 il desio di questo cor. (Parte)
 
 SCENA VIII
 
 VALENTINIANO e MASSIMO
 
 VALENTINIANO
 Ezio sappia ch’io bramo (Ad una comparsa che ricevuto l’ordine parte)
250seco parlar, che qui l’attendo. Amico,
 comincia ad adombrarmi
 la gloria di costui; ciascun mi parla
 delle conquiste sue; Roma lo chiama
 il suo liberatore; egli sé stesso
255troppo conosce. Assicurarmi io deggio
 della sua fedeltà. Voglio d’Onoria
 al talamo innalzarlo, acciocché sia
 suo premio il nodo e sicurezza mia.
 MASSIMO
 Veramente per lui giunge all’eccesso