La favola de’ tre gobbi, libretto, Gotha, Reiher, [1767] (Li tre gobbi o sia Gli amori di madama Vezzosa)

                                                       Or di’, tiranno, (A Valentiniano)
 s’era infido il mio sposo?
 Se fu giusto il punirlo? Or che mi giova
 che tu il pianga innocente? Or chi la vita,
 empio, gli renderà?
 ONORIA
                                       Fulvia, che dici!
1535Ezio morì?
 FULVIA
                        Sì, principessa. Ah! Fuggi
 dal barbaro germano; egli è una fiera
 che si pasce di sangue
 e di sangue innocente. Ognun si guardi,
 egli ha vinto i rimorsi; orror non sente
1540della sua crudeltà, gloria non cura;
 pur la tua vita, Onoria, è mal sicura.
 ONORIA
 Ah inumano! E potesti...
 VALENTINIANO
                                               Onoria, oh dio!
 Non insultarmi; io lo conosco, errai;
 ma di pietà son degno
1545più che d’accuse. Il mio timor consiglia.
 Son questi i miei più cari; in qual di loro
 cercherò il traditor, s’io non gli offesi?
 ONORIA
 Chi mai non offendesti? Il tuo pensiero
 il passato raccolga e non si scordi
1550di Massimo la sposa, i folli amori,
 l’insidiata onestà.
 MASSIMO
                                   (Come salvarmi!)
 VALENTINIANO
 E dovrò figurarmi
 che i benefici miei meno ei rammenti
 che un giovanil trasporto?
 ONORIA
                                                  E ancor non sai
1555che l’offensore obblia
 ma non l’offeso i ricevuti oltraggi?
 FULVIA
 (Ecco il padre in periglio).
 VALENTINIANO
                                                   Ah! Che purtroppo
 tu dici il ver; ma che farò?
 ONORIA
                                                   Consigli
 or pretendi da me? Se fosti solo
1560a fabbricarti il danno,
 solo al riparo tuo pensa, o tiranno. (Parte)
 
 SCENA X
 
 VALENTINIANO, MASSIMO e FULVIA
 
 MASSIMO
 Cesare, alla mia fede
 troppo ingrato sei tu, se ne sospetti.
 VALENTINIANO
 Ah! Che d’Onoria ai detti
1565dal mio sonno io mi desto.
 Massimo, di scolparti il tempo è questo.
 Finché il reo non si trova,
 il reo ti crederò.
 MASSIMO
                                Perché? Qual fallo?...
 Sol perché Onoria il dice?...
1570Che ingiustizia è la tua!
 FULVIA
                                              (Padre infelice!)
 VALENTINIANO
 Giusto è il timor. Disse morendo Emilio
 che il traditor m’è caro,
 ch’io l’offesi in amor; tutto conviene,
 Massimo, a te. Se tu innocente sei,
1575pensa a provarlo; assicurarmi intanto
 di te vogl’io.
 FULVIA
                          (M’assista il ciel).
 VALENTINIANO
                                                            Qual altro
 insidiar mi potea?
 Olà.
 FULVIA
            Barbaro, ascolta; io son la rea.
 Io commisi ad Emilio
1580la morte tua. Quella son io che tanto
 cara ti fui per mia fatal sventura.
 Io, perfido, son quella
 che oltraggiasti in amor, quando ad Onoria
 offristi il mio consorte. Ah! Se nemici
1585non eran gli astri a’ desideri miei,
 vendicata sarei,
 regnerebbe il mio sposo, il mondo e Roma
 non gemerebbe oppressa
 da un cor tiranno e da una destra imbelle.
1590Oh sognate speranze! Oh avverse stelle!
 MASSIMO
 (Ingegnosa pietade!)
 VALENTINIANO
                                         Io mi confondo.
 FULVIA
 (Il genitor si salvi e pera il mondo).
 VALENTINIANO
 Tradimento sì reo pensar potesti?
 Eseguirlo, vantarlo?
 FULVIA
                                       Ezio innocente
1595morì per colpa mia; non vuo’ che mora
 innocente per Fulvia il padre ancora.
 VALENTINIANO
 Massimo è fido almeno.
 MASSIMO
                                              Adesso, Augusto,
 colpevole son io. Se quell’indegna
 tanto obbliar la fedeltà poteo,
1600nell’error della figlia il padre è reo.
 Puniscimi, assicura
 i giorni tuoi col mio morir. Potrebbe
 il naturale affetto,
 che per la prole in ogni petto eccede,
1605del padre un dì contaminar la fede.
 VALENTINIANO
 A suo piacer la sorte
 di me disponga; io m’abbandono a lei.
 Son stanco di temer. Se tanto affanno
 la vita ha da costar, no, non la curo.
1610Nelle dubbiezze estreme
 per mancanza di speme io m’assicuro.
 
    Per tutto il timore
 perigli m’addita.
 Si perda la vita,
1615finisca il martire;
 è meglio morire
 che viver così.
 
    La vita mi spiace,
 se il fato nemico
1620la speme, la pace,
 l’amante, l’amico
 mi toglie in un dì. (Parte)
 
 SCENA XI
 
 MASSIMO e FULVIA
 
 MASSIMO
 Partì una volta. Io per te vivo, o figlia,
 io respiro per te. Con quanta forza
1625celai finor la tenerezza! Ah lascia,
 mia speme, mio sostegno,
 cara difesa mia, che alfin t’abbracci. (Vuole abbracciar Fulvia)
 FULVIA
 Vanne, padre crudel.
 MASSIMO
                                         Perché mi scacci?
 FULVIA
 Tutte le mie sventure
1630io riconosco in te. Basta ch’io seppi,
 per salvarti, accusarmi.
 Vanne; non rammentarmi
 quanto per te perdei,
 qual son io per tua colpa e qual tu sei.
 MASSIMO
1635E contrastar pretendi
 al grato genitor questo d’affetto
 testimonio verace?
 Vieni... (Vuole abbracciarla)
 FULVIA
                  Ma per pietà lasciami in pace.
 Se grato esser mi vuoi, stringi quel ferro;
1640svenami, o genitor. Questa mercede
 col pianto in su le ciglia
 al padre che salvò chiede una figlia.
 MASSIMO
 
    Tergi le ingiuste lagrime;
 dilegua il tuo martiro,
1645che s’io per te respiro,
 tu regnerai per me.
 
    Di raddolcirti io spero
 questo penoso affanno
 col dono d’un impero,
1650col sangue d’un tiranno
 che delle nostre ingiurie
 punito ancor non è. (Parte)
 
 SCENA XII
 
 FULVIA
 
 FULVIA
 Misera, dove son! L’aure del Tebro
 son queste ch’io respiro?
1655Per le strade m’aggiro
 di Tebe e d’Argo? O dalle greche sponde,
 di tragedie feconde,
 vennero a questi lidi
 le domestiche furie
1660della prole di Cadmo e degli Atridi?
 Là d’un monarca ingiusto
 l’ingrata crudeltà m’empie d’orrore;
 d’un padre traditore
 qua la colpa m’agghiaccia;
1665e lo sposo innocente ho sempre in faccia.
 Oh immagini funeste!
 Oh memorie! Oh martiro!
 Ed io parlo, infelice, ed io respiro?
 
    Ah! Non son io che parlo,
1670è il barbaro dolore
 che mi divide il core,
 che delirar mi fa.
 
    Non cura il ciel tiranno
 l’affanno in cui mi vedo;
1675un fulmine gli chiedo
 e un fulmine non ha. (Parte)
 
 SCENA XIII
 
 Campidoglio antico con popolo.
 
 MASSIMO senza manto con seguito, poi VARO
 
 MASSIMO
 Inorridisci, o Roma;
 d’Attila lo spavento, il duce invitto,
 il tuo liberator cadde trafitto.
1680E chi l’uccise? Ah l’omicida ingiusto
 fu l’invidia d’Augusto. Ecco in qual guisa
 premia un tiranno. Or che farà di noi
 chi tanto merto opprime? Ah vendicate,