Il filosofo di campagna, libretto, Venezia, Fenzo, 1754

 ma per commover le nostre viscere
 l’oro e l’argento ci vuole affé.
 
 CONTE
 Dunque con i miei vezzi
225io non posso da voi sperar affetto?
 MADAMA
 Per me, vi parlo schietto,
 se mi volete innamorar da buono,
 fate che dell’argento io senta il suono.
 CONTE
 Sarà dunque un amore interessato.
 MADAMA
230Sarà l’amor che dalle donne è usato.
 CONTE
 
    Donne belle che pigliate
 io già mai vi crederò,
 via piangete, via pregate,
 io di voi mi riderò.
 
235   «Io vi voglio tanto bene»;
 maledette non vi credo.
 «Per voi caro vivo in pene».
 Galeotte vi conosco.
 «Ahi che moro, mio tesoro,
240quant’affetto, mio diletto».
 Galeotte disgraziate
 io di voi mi riderò.
 
 Parmi di sentir gente.
 MADAMA
                                           Ah dite piano,
 poiché tengo un germano
245ch’è più tosto cervello stravagante;
 se ci sente, vorrà far l’arrogante.
 CONTE
 Tiriamoci più in qua, torniamo un poco
 al discorso di prima.
 Per esempio, volendo
250darvi un segno d’amor, quest’orologio,
 dite, saria opportuno?
 MADAMA
 Ah sì ne ho perso uno
 simile appunto a quello.
 CONTE
 Guardate con che grazia io vel presento.
 MADAMA
255O che grazia gentil! Siete un portento.
 CONTE
 Mi vorrete poi bene?
 MADAMA
                                         Uh tanto, tanto.
 CONTE
 Vi piace il volto mio?
 MADAMA
                                         Siete un incanto.
 CONTE
 
    Vezzosa gradita,
 mio dolce tesoro!
 
 MADAMA