Il filosofo di campagna, libretto, Firenze, Paperini, 1758 (Pistoia)

 il suo core non è più vergognoso.
 LESBINA
 Vi stupite di ciò? Si vedon spesso
555cotali meraviglie.
 Soglion tutte le figlie,
 ch’ardono in sen d’amore,
 la modestia affettar col genitore.
 DON TRITEMIO
 Basta; veniamo al fatto. È ver che avesti
560dallo sposo l’anello? (Ad Eugenia)
 LESBINA
                                        Signorsì.
 DON TRITEMIO
 Parlo teco. Rispondi. (Ad Eugenia)
 EUGENIA
                                         Eccolo qui. (Mostra l’anello a don Tritemio)
 DON TRITEMIO
 Capperi! È bello assai.
 Non mi credevo mai
 che Nardo avesse di tai gioie in dito.
565Vedi se t’ho trovato un buon marito?
 EUGENIA
 Misera me, se tal mi fosse! (Da sé)
 DON TRITEMIO
                                                    Oh via,
 codesta ritrosia scaccia dal petto;
 queste smorfie ormai mi fan dispetto.
 LESBINA
 Amabile sposina,
570mostrate la bocchina un po’ ridente.
 EUGENIA
 (Qualche volta Lesbina è impertinente). (Da sé)
 DON TRITEMIO
 È picchiato mi par.
 LESBINA
                                      Vedrò chi sia.
 (Ehi badate non far qualche pazzia). (Piano ad Eugenia e parte)
 
 SCENA III
 
 DON TRITEMIO, EUGENIA, poi LESBINA che torna
 
 EUGENIA
 È molto s’io resisto. (Da sé)
 DON TRITEMIO
575Affé non ho mai visto
 una donna di te più scimunita.
 Figlia che si marita
 suol esser lieta, al suo gioir condotta,
 e tu stai lì che pari una marmotta?
 EUGENIA
580Che volete ch’io dica?
 DON TRITEMIO
                                          Parla o taci,
 no me n’importa più.
 Sposati e in avvenir pensaci tu.
 LESBINA
 Signor è un cavaliero
 col notar della villa in compagnia
585che brama riverir vossignoria.
 DON TRITEMIO
 Vengano. (Col notaro? (Da sé)
 Qualchedun che bisogno ha di denaro).
 LESBINA
 (È Rinaldo, padrona. Io vi consiglio
 d’evitar il periglio). (Piano ad Eugenia)
 EUGENIA
                                        (Andiam Lesbina). (A Lesbina)
590Con licenza. (S’inchina a don Tritemio)
 DON TRITEMIO
                          Va’ pure.
 EUGENIA
                                             (Ahi me meschina). (Da sé e parte con Lesbina)
 
 SCENA IV
 
 DON TRITEMIO, poi RINALDO e CAPOCCHIO notaro
 
 DON TRITEMIO
 Se denaro vorrà, gliene darò,
 purché sicuro sia con fondamento
 e che almeno mi paghi il sei per cento.
 Ma che vedo? È colui
595che mi ha chiesto la figlia. Or che pretende?
 Col notaro che vuol? Che far intende?
 RINALDO
 Compatite signor...
 DON TRITEMIO
                                      La riverisco.
 RINALDO
 Compatite se ardisco
 replicarvi l’incommodo. Temendo
600che non siate di me ben persuaso
 ho condotto il notaro,
 il qual patente e chiaro
 di me vi mostrerà
 titolo, parentele e facoltà.
 DON TRITEMIO
605(È ridicolo invero).
 CAPOCCHIO
                                      Ecco, signore,
 l’istrumento rogato
 d’un ricco marchesato;
 ecco l’albero suo, da cui si vede
 che per retto camino
610vien l’origine sua del re Pipino.
 DON TRITEMIO
 Oh caperi! Che vedo!
 Questa è una cosa bella in verità.
 Ma della nobiltà, signor mio caro,
 come andiamo dal par con il denaro?
 RINALDO
615Mostrategli i poderi,
 mostrategli sinceri i fondamenti. (A Capocchio)