Il filosofo di campagna, libretto, Münster, Kördinck, 1764

 gonfia di vento e piena d’albagia.
 LENA
 L’avete ancor veduta?
 NARDO
 Ieri solo è venuta;
 oggi la vedrò.
 LENA
                            Dunque chi sa
280s’ella vi piacerà.
 NARDO
                                Basta non abbia
 visibili magagne;
 sono le donne poi tutte compagne.
 LENA
 Ammogliatevi presto signor zio
 ma voglio poscia maritarmi anch’io.
 
285   Di questa poverella
 abbiate carità.
 Io son un’orfanella
 che madre più non ha.
 Voi siete il babbo mio.
290Vedete caro zio
 ch’io cresco nell’età.
 
    La vostra nipotina
 vorrebbe poverina...
 Sapete... M’intendete...
295Movetevi a pietà. (Parte)
 
 SCENA VII
 
 NARDO solo
 
 NARDO
 Sì signora, non dubiti,
 che contenta sarà.
 La si mariterà la poverina;
 ma la vuo’ maritar da contadina.
300Ecco; il mondo è così. Niuno è contento
 del grado in cui si trova
 e lo stato cambiare ognun si prova.
 Vorrebbe il contadino
 diventar cittadino; il cittadino
305cerca nobilitarsi;
 ed il nobile ancor vorrebbe alzarsi.
 D’un gradino alla volta
 qualchedun si contenta;
 alcuno due o tre ne fa in un salto
310ma lo sbalzo è peggior quanto è più alto.
 
    Chiascheduno ognor sospira
 la sua sorte migliorar,
 pensa, suda e ancor delira
 né si può mai satollar;
 
315   chi gli onori, chi il contante
 chi il marito e chi l’amante
 ma poi quando lo possiede
 brama solo di variar. (Parte)
 
 SCENA VIII
 
 Salotto in casa di don Tritemio con varie porte.
 
 EUGENIA e RINALDO
 
 EUGENIA
 Deh se mi amate, o caro,
320ite lontan da queste soglie. Oh dio!
 Temo che ci sorprenda il padre mio.
 RINALDO
 Del vostro genitore
 il sovverchio rigor vi vuole oppressa.
 Deh pensate a voi stessa.
 EUGENIA
                                                Ai numi il giuro,
325non sarò d’altri, se di voi non sono.
 Ah se il mio cuor vi dono
 per or vi basti e non vogliate, ingrato,
 render lo stato mio più sventurato.
 RINALDO
 Gradisco il vostro cor ma della mano
330il possesso mi cale...
 EUGENIA
                                       Oimè! Chi viene?
 RINALDO
 Non temete; è Lesbina.
 EUGENIA
                                             Io vivo in pene.
 
 SCENA IX
 
 LESBINA e detti
 
 LESBINA
 V’è chi cerca di voi, signora mia. (A Eugenia)
 EUGENIA
 Il genitore?
 LESBINA
                         Oibò. Sta il mio padrone
 col suo fattore e contano denari
335né si spiccia sì presto in tali affari.
 RINALDO
 Dunque chi è che la dimanda?
 LESBINA
                                                          Bravo!
 Voi pur site curioso?
 Chi la cerca, signore, è il di lei sposo.
 RINALDO
 Come?
 EUGENIA
                 Che dici?
 LESBINA
                                     È giunto
340adesso, in questo punto,
 forte, lesto e gagliardo,
 il bellissimo Nardo. E il padre vostro
 ha detto, ha comandato
 che gli dobbiate far buona accoglienza,
345se non per genio, almen per obbedienza.
 EUGENIA
 Misera! Che farò?
 RINALDO
                                    Coraggio avrete
 di tradir chi v’adora?
 EUGENIA
                                          È ver son figlia
 ma sono amante ancor. Chi mi consiglia?
 LESBINA
 Ambi pietà mi fate;
350a me condur lasciate la faccenda.
 Ritiratevi presto.
 EUGENIA
                                  Vado. (In atto di partire)
 RINALDO
                                               Anch’io. (In atto di seguire Eugenia)
 LESBINA
 Con grazia, padron mio,
 ritiratevi, sì, questo mi preme;
 ma non andate a ritirarvi insieme.
355Voi di qua, voi di là; così va bene.
 EUGENIA
 Soffrite, idolo mio. (Si ritira in una stanza)
 RINALDO
                                      Soffrir conviene. (Si ritira in un’altra stanza)
 
 SCENA X
 
 LESBINA, poi NARDO
 
 LESBINA
 Capperi! S’attaccava
 prestamente al partito.
 Troppo presto volea far da marito.
360Ecco il ricco villano;
 ora son nell’impegno;
 tutta l’arte vi vuol, tutto l’ingegno.
 NARDO
 Chi è qui?
 LESBINA
                       Non ci vedete?
 Per ora ci son io.
 NARDO
365Bondì a vossignoria.
 LESBINA
                                        Padrone mio.