Il filosofo di campagna, libretto, Praga, Jaurnich, 1765 (Karlsbad)

 i miei torti a vendicar.
 
200   Fido amante, è ver, son io;
 ogni duol soffrir saprei
 ma il mio ben non soffrirei
 con viltate abbandonar. (Parte)
 
 SCENA V
 
 Campagna con casa rustica.
 
 NARDO esce di casa con una vanga accompagnato da alcuni villani
 
 NARDO
 
    Al lavoro, alla campagna,
205poi si gode, poi si magna
 con diletto e libertà.
 
    Oh che pane delicato,
 se da noi fu coltivato!
 Presto, presto a lavorare,
210a podare, a seminare,
 e doppoi si mangerà;
 del buon vin si beverà
 ed allegri si starà. (Partono i contadini, restandone uno impiegato)
 
 Vanga mia benedetta,
215mio diletto conforto e mio sostegno,
 tu sei lo scettro e questi campi il regno.
 Quivi regnò mio padre,
 l’avolo ed il bisavolo ed il tritavolo
 e fur sudditi lor la zucca, il cavolo.
220Nelle città famose
 ogni generazion si cambia stato.
 Se il padre ha accumulato
 con fatica, con arte e con periglio,
 distrugge i beni suoi prodigo il figlio.
225Qui, dove non ci tiene
 il lusso, l’ambizion, la gola oppressi,
 sono gl’uomini ognor sempre gl’istessi.
 Non cambierei, lo giuro,
 col piacer delle feste e dei teatri
230zappe, trebbie, rastrei, vanghe ed aratri.
 
 SCENA VI
 
 LA LENA ed il suddetto
 
 LA LENA
 Eccolo qui; la vanga
 è tutto il suo diletto. (Da sé)
 Se fosse un poveretto, (A Nardo)
 compatir vi vorrei; ma siete ricco,
235avete dei poderi e dei contanti;
 la fatica lasciate ai lavoranti.
 NARDO
 Cara nipote mia,
 piuttosto che parlar come una sciocca,
 fareste meglio maneggiar la rocca.
 LA LENA
240Colla rocca, col fuso e coi famigli
 stanca son d’annoiarmi;
 voi dovreste pensare a maritarmi.
 NARDO
 Sì, volentieri. Presto
 comparisca un marito. Eccolo qui. (Accenna un villano)
245Vuoi sposar mia nipote? Signorsì.
 Eccolo io ve lo do.
 Lo volete? Vi piace? (Alla Lena)
 LA LENA
                                        Signor no.
 NARDO
 Va’ a veder se passasse
 a caso per la strada
250qualche affamato con parucca e spada. (Al villano, il quale parte ridendo)
 Vedi? Ride Mingone e ti corbella.
 Povera vanarella,
 tu sposeresti un conte od un marchese,
 perché in meno d’un mese,
255strappazzata la dote, e la fanciulla,
 la nobiltà ti riducesse al nulla.
 LA LENA
 Io non voglio un signor né un contadino.
 Mi basta un cittadino
 che stia bene...
 NARDO
                              Di che?
 LA LENA
                                               Ch’abbia un’entrata,
260qual a mediocre stato si conviene.
 Che sia discreto e che mi voglia bene.
 NARDO
 Lena, pretendi assai.
 Se lo brami così, nol troverai.
 Per lo più i cittadini
265hanno pochi quattrini e troppe voglie
 e non usano molto amar la moglie.
 Per pratica comune
 nelle cittadi usata,
 è maggiore l’uscita dell’entrata.
 LA LENA
270Il signor don Tritemio
 è cittadino, eppure
 così non usa?
 NARDO
                            È vero,
 ma in villa se ne sta,
 perché nella città vede il pericolo
275d’esser vizioso o diventar ridicolo.
 LA LENA
 Della figliuola sua
 v’han proposte le nozze, io ben lo so.
 NARDO
 Ed io la sposerò,
 perché la dote e il padre suo mi piace,
280con patto che non sia
 gonfia di vento e piena d’albagia.
 LA LENA
 L’avete ancor veduta?
 NARDO
 Ieri solo è venuta;
 oggi la vederò.
 LA LENA
                              Dunque chi sa
285s’ella vi piacerà.
 NARDO
                                Basta non abbia
 visibili magagne;
 sono le donne poi tutte compagne.
 LA LENA
 Ammogliatevi presto signor zio
 ma voglio poscia maritarmi anch’io.
 
290   Di questa poverella
 abbiate carità.
 Io son un’orfanella
 che madre più non ha.
 Voi siete il babbo mio.
295Vedete caro zio
 ch’io cresco nell’età.
 
    La vostra nipotina
 vorrebbe poverina...
 Sapete... M’intendete...
300Movetevi a pietà. (Parte)
 
 SCENA VII
 
 NARDO solo
 
 NARDO
 Sì signora, non dubiti,
 che contenta sarà.
 La si mariterà la poverina;
 ma la vuo’ maritar da contadina.
305Ecco; il mondo è così. Niuno è contento
 del grado in cui si trova
 e lo stato cambiare ognun si prova.
 Vorrebbe il contadino
 diventar cittadino; il cittadino
310cerca nobilitarsi;
 ed il nobile ancor vorrebbe alzarsi.
 D’un gradino alla volta
 qualchedun si contenta;
 alcuno due o tre ne fa in un salto