Il filosofo di campagna, libretto, Livorno, Coltellini, 1768

 perché la vuo’ così».
 E son padron di dirlo;
 la mia ragion sta qui. (Parte)
 
 SCENA IV
 
 RINALDO solo
 
 RINALDO
 Che innaspettato, oh dio!
185colpo improviso è questo?
 E sarà dunque ver ch’il mio tesoro
 meco unito non fia?
 Ah! Che il dolor questo mio core opprime!
 Oh Eugenia fedel bell’idol mio,
190se ti perdo mia vita
 tosto lungi da te morir vogl’io.
 
    Quei vezzosi amati rai
 idol mio fedel riserba;
 e quel cor che tanto amai
195anche in morte adorerò.
 
 SCENA V
 
 Campagna con casa rustica.
 
 NARDO esce di casa con una vanga accompagnato da alcuni villani
 
 NARDO
 
    Al lavoro, alla campagna,
 poi si gode, poi si magna
 con diletto e libertà.
 
    Oh che pane delicato,
200se da noi fu coltivato!
 Presto, presto a lavorare,
 a podare, a seminare;
 e doppoi si mangerà;
 del buon vin si beverà
205ed allegri si starà. (Partono i contadini, restandone uno impiegato)
 
 Vanga mia benedetta,
 mio diletto conforto e mio sostegno,
 tu sei lo scetro e questi campi il regno.
 Quivi regnò mio padre,
210l’avolo ed il bisavolo ed il tritavolo
 e fur suditi lor la zucca, il cavolo.
 Nelle città famose
 ogni generazion si cambia stato.
 Se il padre ha accumulato
215con fatica, con arte e con periglio,
 distrugge i beni suoi prodigo il figlio.
 Qui, dove non ci tiene
 il lusso, l’ambizion, la gola oppressi,
 sono gl’uomini ognor sempre gl’istessi.
220Non cambierei, lo giuro,
 col piacer delle feste, dei teatri
 zappe, trebbie, rastrei, vanghe ed aratri.
 
 SCENA VI
 
 LA LENA ed il sudetto
 
 LA LENA
 Eccolo qui; la vanga
 è tutto il suo diletto. (Da sé)
225Se foste un poveretto, (A Nardo)
 compatir vi vorrei; ma siete ricco,
 avete dei poderi e dei contanti;
 la fatica lasciate ai lavoranti.
 NARDO
 Cara nipote mia,
230più tosto che parlar come una sciocca,
 fareste meglio maneggiar la rocca.
 LA LENA