Il filosofo di campagna, libretto, Venezia, Savioli, 1770

1475la fedeltà.
 
 LESBINA
 
    Io son la rondinella
 ed il rondon tu sei.
 
 NARDO
 
 Tu sei la vite bella,
 io l’olmo esser vorrei.
 
 LESBINA
 
1480   Rondone fido
 nel caro nido
 vieni, t’aspetto.
 
 NARDO
 
 Prendimi stretto,
 vite amorosa,
1485diletta sposa.
 
 A DUE
 
    Soave amore,
 felice ardore,
 alma del mondo,
 vita del cor.
 
1490   No non si trova,
 no non si prova
 più bella pace,
 più caro ardor. (Partono ed entrano in casa)
 
 SCENA X
 
 DON TRITEMIO
 
 DON TRITEMIO
 Diamine! Che ho sentito?
1495Di Lesbina il marito
 pare che Nardo sia.
 Che la filosofia
 colle ragioni sue
 accordasse ad un uom sposarne due?
1500Quel che pensar non so;
 all’uscio picchierò. Veranno fuori;
 scoprirò i tradimenti e i traditori.
 
 SCENA XI
 
 LA LENA e detto
 
 LA LENA
 Chi è qui?
 DON TRITEMIO
                       Ditemi presto,
 cosa si fa là dentro?
 LA LENA
1505Finito è l’istrumento;
 si fan due matrimoni.
 Tra gli altri testimoni,
 che sono cinque o sei,
 se comanda venir, sarà anco lei.
 DON TRITEMIO
1510Questi sposi? Quai son?
 LA LENA
                                               La vostra figlia
 col cavalier Rinaldo.
 DON TRITEMIO
 Cospetto! Mi vien caldo.
 LA LENA
 E l’altro, padron mio,
 è la vostra Lesbina con mio zio.
 DON TRITEMIO
1515Come? Lesbina? Oimè; no non lo credo.
 LA LENA
 Eccoli tutti quattro.
 DON TRITEMIO
                                      Ahi! Cosa vedo?
 EUGENIA
 
    Ah genitor, perdono...
 
 RINALDO
 
 Suocero, per pietà...
 
 LESBINA
 
    Sposa, signor, io sono.
 
 NARDO
 
1520Quest’è la verità.
 
 DON TRITEMIO
 
    Perfidi scelerati,
 vi siete accomodati?
 Senza la figlia mesto,
 senza la sposa resto.
1525Che bella carità!
 
 LA LENA
 
    Quando di star vi preme
 con una sposa insieme,
 ecco, per voi son qua.
 
 DON TRITEMIO
 
    Per far dispetto a lei,
1530per disperar colei,
 Lena mi sposerà.
 
 TUTTI
 
    Sia per diletto,
 sia per dispetto,
 amore al core
1535piacer darà.
 
 
 Fine del dramma giocoso
 
 
 IL FILOSOFO DI CAMPAGNA
 
 
    Drama giocoso per musica di Poliseno Fegeio, pastor arcade, da rappresentarsi nel teatro Dolfin di Treviso l’autunno dell’anno 1765, dedicato a sua eminenza Domenico Balbi, podestà e capitanio.
    In Trevigi, MDCCLXV, presso li fratelli Pianta, con licenza de’ superiori.
 
 Eccellenza,
    sotto l’ombra del venerato patrocinio di vostra eminenza a dedicare si viene il presente dramma giocoso. Destinato a dover essere sulle scene oggetto di trattenimento a questo pubblico, non potevo scegliere prottetor più adequato di chi con tanto merito al pubblico stesso gloriosamente presiede. Quando nell’implorata raguardevole prottezzione insignito venga d’un fregio sì luminoso, potrà ben a ragione andarsene di sì propizia sorte fastoso. Non isdegni pertanto l’eminenza vostra di usare di sua somma clemenza verso l’umilissima mia persona che ardisce di consacrarglielo. Da l’indole sua magnanima e grande, che non ricusa abbassarsi perfino ai più umili, ben ripromettesi la preciosa implorata fortuna chi con il più profondo ossequio non cesserà di pubblicarsi dell’eminenza vostra umilissimo ossequiosissimo obbligatissimo servitore.
 
    Giacomo Dalla Tavola
 
 
 PERSONAGGI
 
 PARTI SERIE
 
 EUGENIA figlia nubile di don Tritemio
 (la signora Maura Coronati)
 RINALDO gentilomo amante d’Eugenia
 (il signor Domenico Friggeri)
 
 PARTI BUFFE
 
 DON TRITEMIO cittadino abbitante in villa
 (il signor Antonio Marchesi)
 LESBINA cameriera in casa di don Tritemio
 (la signora Angela Dalla Tavola)
 NARDO ricco contadino detto il Filosofo
 (il signor Giovanni Battista Rosi)
 LENA nipote di Nardo
 (la signora Rosa Dei)
 CAPOCCHIO nodaro della villa
 (il signor Gaetanno Simonetti)
 
    La musica è del celebre maestro signor Baldassarre Galuppi detto Buranello.
 
 
 MUTAZIONI DI SCENE
 
    Giardino; casa rustica in campagna; salotto con porte; camera.
 
 BALLARINI
 
    Ballo primo de monsieur Domenico Ricciardi: madamoisel Anna Pacini, monsieur Domenico Ricciardi, madamoisel Geltruda Pacini, monsieur Francesco Martini, madama Mariana Ceriati, monsieur Gasparo Mattaliani, madamoisel Regina Cabballatti, monsieur Domenico Bortolotti.
    Ballo secondo de monsieur Francesco Martini: madamoisel Anna Pacini, monsieur Francesco Martini, madamoisel Geltruda Pacini, monsieur Domenico Ricciardi, madama Mariana Ceriati, monsieur Gasparo Mattaliani, madamoisel Regina Cabballatti, monsieur Domenico Bortolotti.
    Il vestiario è del signor Lazaro Maffei.
 
 
 ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
 Giardino in casa di don Tritemio.
 
 EUGENIA con un ramo di gilsomini, LESBINA con una rosa in mano
 
 EUGENIA
 
    Candidetto gelsomino
 che sei vago in sul mattino,
 perderai, vicino a sera,
 la primiera tua beltà.
 
 LESBINA
 
5   Vaga rosa, onor de’ fiori,
 fresca piaci ed innamori
 ma vicino è il tuo flagello
 e il tuo bello sparirà.
 
 A DUE
 
    Tal di donna la bellezza
10più ch’è fresca, più s’apprezza,
 s’abbandona allorché perde
 il bel verde dell’età.
 
 EUGENIA
 Basta, basta, non più.
 Che codesta canzon, Lesbina mia,
15troppo mi desta in sen malinconia.
 LESBINA
 Anzi cantarla spesso,
 padrona, io vi consiglio,
 per sfugir della rosa il rio periglio.
 EUGENIA
 Ah! Che sotto d’un padre
20asprissimo e severo
 far buon uso non spero
 di questa età che della donna è il fiore;
 troppo, troppo nemico ho il genitore.
 LESBINA
 Pur delle vostre nozze
25lo intesi ragionar.
 EUGENIA
                                   Nozze infelici
 sarebbero al cuor mio le divisate
 dall’avarizia sua. Dell’uomo vile,
 che Nardo ha nome, ei mi vorria consorte.
 L’abborisco e mi scelgo anzi la morte.
 LESBINA
30Non così parlereste,
 s’ei proponesse al vostro cor Rinaldo.
 EUGENIA
 Lesbina... Oimè...
 LESBINA
                                   V’ho fatto venir caldo?
 Vi compatisco; un cavalier gentile
 in tutto a voi simile,
35nell’età, nel costume e nell’amore,
 far potrebbe felice il vostro cuore.
 EUGENIA
 Ma il genitor mi nega...
 LESBINA
 Si supplica, si prega,
 si sospira, si piange e se non basta
40si fa un po’ la sdegnosa e si contrasta.
 EUGENIA
 Ah mi manca il coraggio.
 LESBINA
                                                Io vi offerisco
 quel che so, quel che posso. È ver che sono
 in una età da non prometter molto;
 ma posso, se m’impegno,
45far valere per voi l’arte e l’ingegno.
 EUGENIA
 Cara di te mi fido. Amor, pietade
 per la padrona tua serba nel seno;
 se non felice appieno,
 almen fa’ ch’io non sia sì sventurata.
 LESBINA
50Meglio sola che male accompagnata.
 Così volete dir; sì sì, v’intendo.
 EUGENIA
 Dunque da te qualche soccorso attendo.
 
    Cara di te mi fido,
 perdona al mio dolor;
55cara non trovo il lido
 per calma del mio cor.
 
    Come da tanto affanno
 serbo la mia costanza,
 la dolce mia speranza
60rimanga in mio poter.
 
 SCENA II
 
 LESBINA, poi DON TRITEMIO
 
 LESBINA
 Povera padroncina!
 Affé la compatisco.
 Quest’anch’io la capisco.
 Insegna la prudenza,
65se non si ha quel che piace, è meglio senza.
 DON TRITEMIO
 Che si fa signorina?
 LESBINA
 Un po’ d’insalatina
 raccogliere volea pel desinare.
 DON TRITEMIO
 Poco fa v’ho sentito a cantuzzare.
 LESBINA
70È ver, colla padrona
 mi divertiva un poco.
 DON TRITEMIO
                                          E mi figuro
 che cantate s’avranno
 canzonette d’amor.
 LESBINA
                                      Oh non signore;
 di questo o di quel fiore,
75di questo o di quel frutto
 si cantavan le lodi.
 DON TRITEMIO
                                     Il crederò?
 LESBINA
 Le volete sentir?
 DON TRITEMIO
                                 Le sentirò.
 LESBINA
 (Qualche stroffetta canterò a proposito). (Da sé)
 DON TRITEMIO
 (Oh ragazza!... Farei uno sproposito). (Da sé)
 LESBINA
80Sentite, patron bello,
 la canzonetta sopra il ravanello.
 
    Quando son giovine,
 son fresco e bello,
 son tenerello,
85di buon sapor.
 
    Ma quando invecchio
 gettato sono;
 non son più buono
 col pizzicor.
 
 DON TRITEMIO
90Scazzia questa canzon dalla memoria.
 LESBINA
 Una ne vuo’ cantar sulla cicoria.
 
    Son fresca e son bella
 cicoria novella.
 Mangiatemi presto;
95coglietemi su.
 
    Se resto nel prato,
 radichio invecchiato,
 nessuno si degna
 raccogliermi più.
 
 DON TRITEMIO
100Senti ragazza mia,
 questa canzone ha un poco d’allegria.
 Tu sei, Lesbina bella,
 cicorietta novella;
 prima che ad invecchiar ti veda il fatto,
105esser colta dovresti in mezzo al prato.
 LESBINA
 Per me v’è tempo ancora.
 Dovreste alla signora
 pensar, caro padrone.
 Or ch’è buona stagione,
110or ch’è un frutto maturo e saporito,
 non la fate invecchiar senza marito.
 DON TRITEMIO
 A lei ho già pensato;
 sposo le ho destinato e avrallo presto.
 LESBINA
 Posso saper chi sia?
 DON TRITEMIO
                                       Nardo è cotesto.
 LESBINA
115Di quella tenerina
 erbetta cittadina
 la bocca d’un villan non mi par degna.
 DON TRITEMIO
 Eh la prudenza insegna
 che ogn’erba si contenti
120d’aver qualche governo,
 purch’esposta non resti al crudo verno.
 LESBINA
 Io mi contenterei,
 pria di vederla così mal troncata,
 per la neve lasciar la mia insalata.
 DON TRITEMIO
125Tu sei un bocconcino
 per il tuo padroncino.
 LESBINA
                                          Oh oh sentite
 un’altra canzonetta ch’ho imparata
 sul proposito mio dell’insalata.
 
    Non raccogliere le mie foglie
130vecchia mano di pastor.
 
    Voglio un bello pastorello;
 o vuo’ star nel prato ancor. (Parte)
 
 SCENA III
 
 DON TRITEMIO e poi RINALDO
 
 DON TRITEMIO
 Allegoricamente
 m’ha detto che con lei non farò niente.
135Eppure io mi lusingo
 che a forza di finezze
 tutto supererò,
 che col tempo con lei tutto farò.
 Per or d’Eugenia mia
140liberarmi mi preme. Un buon partito
 Nardo per lei sarà, ricco, riccone,
 un villano, egli è ver, ma sapientone.
 RINALDO
 (Ecco della mia bella
 il genitor felice). (Da sé in disparte)
 DON TRITEMIO
145Per la villa si dice
 che Nardo ha un buono stato
 e da tutti filosofo è chiamato. (Da sé)
 RINALDO
 (Sorte, non mi tradir). Signor.
 DON TRITEMIO
                                                          Padrone.
 RINALDO
 S’ella mi permettesse,
150le direi due parole.
 DON TRITEMIO
 Anche quattro ne ascolto e più, se vuole.
 RINALDO
 Non so se mi conosca.
 DON TRITEMIO
                                          Non mi pare.
 RINALDO
 Di me si può informare.
 Son cavaliere e sono i beni miei
155vicini ai suoi.
 DON TRITEMIO
                            Mi rallegro con lei.
 RINALDO
 Ell’ha una figlia.
 DON TRITEMIO
                                 Sì signor.
 RINALDO
                                                     Dirò...
 Se fossi degno. Troppo ardire è questo...
 Ma! Mi sprona l’amore...
 DON TRITEMIO
                                                Intendo il resto.
 RINALDO
 Dunque, signor...
 DON TRITEMIO
                                   Dunque, signor mio caro,
160per venir alle corte io vi dirò...
 RINALDO
 M’accordate la figlia?
 DON TRITEMIO
                                          Signor no.
 RINALDO
 Son cavalier.
 DON TRITEMIO
                           Benissimo.
 RINALDO
                                                  De’ beni
 ricco son quanto voi.
 DON TRITEMIO
                                        Son persuaso.
 RINALDO
 Il mio stato, i miei fondi,
165le parentelle mie vi mostrerò.
 DON TRITEMIO
 Credo tutto.
 RINALDO
                         Che speri?
 DON TRITEMIO
                                               Signor no.
 RINALDO
 Ma la ragione almeno
 dite perché né men si vuol ch’io speri.
 DON TRITEMIO
 La ragion?...
 RINALDO
                          Vuo’ saper...
 DON TRITEMIO
                                                   Sì, volentieri.
 
170   La mia ragion è questa...
 Mi par ragione onesta.
 La figlia mi chiedeste
 e la ragion voleste...
 La mia ragion sta qui.
175Non posso dirvi sì,
 perché vuo’ dir di no.
 
    Se non vi basta ancora,
 un’altra ne dirò;
 rispondo: «Signor no,
180perché la vuo’ così».
 E son padron di dirlo;
 la mia ragion sta qui. (Parte)
 
 SCENA IV
 
 RINALDO solo
 
 RINALDO
 Sciocca ragione indegna
 d’anima vil dell’onestà nemica.
185Ma non vuo’ che si dica
 ch’io soffra un tale insulto,
 ch’io debb’andar villanamente inulto.
 O Eugenia sarà mia
 o tu, padre inumano,
190ti pentirai del tuo costume insano.
 
    Mi parla in seno amore:
 «Ah non temer periglio»;
 e par che doni al core
 coraggio e fedeltà.
 
 SCENA V
 
 Campagna con casa rustica.
 
 NARDO esce di casa con una vanga accompagnato da alcuni villani, poi LA LENA
 
 NARDO
 
195   Al lavoro, alla campagna,
 poi si gode, poi si magna
 con diletto e libertà.
 
    Oh che pane delicato,
 se da noi fu coltivato!
200Presto, presto a lavorare,
 a prodare, a seminare,
 e doppoi si mangerà;
 del buon vin si beverà
 ed allegri si starà. (Partono i contadini, restandone uno impiegato)
 
205Vanga mia benedetta,
 mio diletto conforto e mio sostegno,
 tu sei lo scettro e questi campi il regno.
 Quivi regnò mio padre,
 l’avolo ed il bisavolo ed il tritavolo
210e fur sudditi lor la zucca, il cavolo.
 Nelle città famose
 ogni generazion si cambia stato.
 Se il padre ha accumulato
 con fatica, con arte e con periglio,
215distrugge i beni suoi prodigo il figlio.
 LA LENA
 Eccolo qui; la vanga
 è tutto il suo diletto. (Da sé)
 Se fosse un poveretto, (A Nardo)
 compatir vi vorrei; ma siete ricco,
220avete dei poderi e dei contanti;
 la fatica lasciate ai lavoranti.
 NARDO
 Cara nipote mia,
 piuttosto che parlar come una sciocca,
 fareste meglio maneggiar la rocca.
 LA LENA
225Colla rocca, col fuso e coi famigli
 stanca son d’annoiarmi;
 voi dovreste pensare a maritarmi.
 NARDO
 Sì, volentieri. Presto
 comparisca un marito. Eccolo qui. (Accenna un villano)
230Vuoi sposar mia nipote? Signorsì.
 Eccolo io ve lo do.
 Lo volete? Vi piace? (Alla Lena)
 LA LENA
                                        Signor no.
 NARDO
 Va’ a veder se passasse
 a caso per la strada
235qualche affamato con parucca e spada. (Al villano, il quale parte ridendo)
 Vedi? Ride Mingone e ti corbella.
 Povera vanarella,
 tu sposeresti un conte od un marchese,
 perché in meno d’un mese,
240strappazzata la dote e la fanciulla,
 la nobiltà ti riduce al nulla.
 LA LENA
 Io non voglio un signor né un contadino.
 Mi basta un cittadino
 che stia bene...
 NARDO
                              Di che?
 LA LENA
                                               Ch’abbia un’entratta
245qual a mediocre stato si conviene.
 Che sia discreto e che mi voglia bene.
 NARDO
 Lena, pretendi assai.
 Se lo brami così, nol troverai.
 Per lo più i cittadini
250hanno pochi quattrini e troppe voglie
 e non usano molto amar la moglie.
 Per pratica commune
 nelle cittadi usata,
 è maggior l’uscita dell’entrata.
 LA LENA
255Il signor don Tritemio
 è cittadino, eppure
 così non usa?
 NARDO
                            È vero,
 ma in villa se ne sta,
 perché nella città vede il pericolo
260d’esser vizioso o diventar ridicolo.
 LA LENA
 Della figliuola sua
 v’han proposte le nozze, io ben lo so.
 NARDO
 Ed io la sposerò,
 perché la dote e il padre suo mi piace,
265con patto che non sia
 gonfia di vento e piena d’albagia.
 LA LENA
 L’avete ancor veduta?
 NARDO
 Ieri solo è venuta;
 oggi la vederò.