Il filosofo di campagna, libretto, Parma, Stamperia Reale, 1772

    Fido amante è ver son io.
 Ogni duol soffrir saprei
140ma il mio ben non soffrirei
 con viltade abbandonar.
 
 SCENA V
 
 Campagna con casa rustica.
 
 NARDO esce di casa con una vanga, accompagnato da alcuni villani
 
 NARDO
 
    Al lavoro, alla campagna,
 poi si gode, poi si magna
 con diletto e libertà.
 
145   Oh che pane delicato,
 se da noi fu coltivato!
 Presto, presto a lavorare,
 a prodare, a seminare,
 e doppoi si mangerà;
150del buon vin si beverà
 ed allegri si starà. (Partono i contadini restandone uno impiegato)
 
 Vanga mia benedetta,
 mio diletto conforto e mio sostegno,
 tu sei lo scettro e questi campi il regno.
155Quivi regnò mio padre,
 l’avolo ed il bisavolo ed il tritavolo
 e fur sudditi lor la zucca, il cavolo.
 Non cambierei, lo giuro,
 col piacer delle feste e dei teatri
160zappe, trebbie, rastei, vanghe ed aratri.
 
 SCENA VI
 
 LA LENA ed il sudetto
 
 LA LENA
 Eccolo qui; la vanga
 è tutto il suo diletto. (Da sé)
 Se foste un poveretto, (A Nardo)
 compatir vi vorrei; ma siete ricco,
165avete dei poderi e dei contanti;
 la fatica lasciate ai lavoranti.
 NARDO
 Cara nipote mia,
 piuttosto che parlar come una sciocca,
 fareste meglio maneggiar la rocca.
 LA LENA
170Colla rocca, col fuso e coi famigli
 stanca son d’annoiarmi;
 voi dovreste pensare a maritarmi.
 NARDO
 Sì, volontieri. Presto
 comparisca un marito. Eccolo qui. (Accena un villano)
175Vuoi sposar mia nipote? Signorsì.
 Eccolo, io ve lo do.
 Lo volete? Vi piace? (Alla Lena)
 LA LENA
                                        Signor no.
 NARDO
 Va’ a veder se passasse
 a caso per la strada
180qualche affamato con parucca e spada. (Al villano, il quale parte ridendo)
 Vedi? Ride Mingone, ti corbella.
 Povera vanarella,
 tu sposeresti un conte od un marchese,
 perché in meno d’un mese,
185strappazzata la dote e la fanciulla,
 la nobilità ti riducesse al nulla.
 LA LENA
 Il signor don Tritemio
 è cittadino, e pure
 così non usa.
 NARDO
                           È vero,
190ma in villa se ne sta,
 perché nella città vede il pericolo
 d’esser vizioso o diventar ridicolo.
 LA LENA
 Della figliuola sua
 v’han proposte le nozze, io ben lo so.
 NARDO
195Ed io la sposerò,
 perché la dote e il padre suo mi piace,
 con patto che non sia
 gonfia di vento e piena d’albagia.
 LA LENA
 Ammogliatevi presto signor zio
200ma voglio poscia maritarmi anch’io.
 
    Di questa poverella
 abbiate carità.
 Io son un’orfanella
 che madre più non ha.
205Voi siete il babbo mio.
 Vedete caro zio
 ch’io cresco nell’età.
 
    La vostra nipotina
 vorebbe poverina...
210Sapete... M’intendete...
 Movetevi a pietà.
 
 SCENA VII
 
 NARDO solo
 
 NARDO
 Sì signora, non dubiti,
 che contenta sarà.
 La si mariterà la poverina;
215ma la vuo’ maritar da contadina.
 D’un gradino alla volta
 qualchedun si contenta;
 alcuno due o tre ne fa in un salto
 ma lo sbalzo è peggior quanto è più alto.
 
220   Vedo quell’albero