Il filosofo di campagna, libretto, Mosca, Università Imperiale, 1774

 Mi basta un cittadino
245che stia bene...
 NARDO
                              Di che?
 LENA
                                               Ch’abbia un’entratta
 qual a mediocre stato si conviene.
 Che sia discretto e che mi voglia bene.
 NARDO
 Lena, pretendi assai.
 Se lo brami così, nol troverai.
250Per lo più i cittadini
 hanno pochi quattrini e troppe voglie.
 E non usano molto amar la moglie.
 Per pratica commune
 nelle cittadi usata,
255è maggior l’uscita dell’entrata.
 LENA
 Il signor don Tritemio
 è cittadino, eppure
 così non usa?
 NARDO
                            È vero.
 Ma in villa se ne sta,
260perché nella città vede il pericolo
 d’esser vizioso o diventar ridicolo.
 LENA
 Della figliuola sua
 v’han proposte le nozze, io ben lo so.
 NARDO
 Ed io la sposerò,
265perché la dote e il padre suo mi piace,
 con patto che non sia
 gonfia di vento e piena d’albagia.
 LENA
 L’avete ancor veduta?
 NARDO
 Ieri solo è venuta;
270oggi la vederò.
 LENA
                              Dunque chi sa
 s’ella vi piacerà.
 NARDO
                                Basta non abbia
 visibili magagne;
 sono le donne poi tutte compagne.
 LENA
 Ammogliatevi presto signor zio
275ma voglio poscia maritarmi anch’io.
 
    Di questa poverella
 abbiate carità.
 Io son un’orfanella
 che madre più non ha.
280Voi siete il babbo mio.
 Vedete caro zio
 ch’io cresco nell’età.
 
    La vostra nipotina
 vorebbe poverina...
285Sapete... M’intendete...
 Movetevi a pietà. (Parte)
 
 SCENA VI
 
 NARDO solo
 
 NARDO
 Sì signora, non dubiti,
 che contenta sarà.
 La si mariterà la poverina;
290ma la vuo’ maritar da contadina.
 Ecco; il mondo è così. Niuno è contento
 del grado in cui si trova
 e lo stato cambiare ognun si prova.
 Vorrebbe il contadino
295diventar cittadino; il cittadino
 cerca nobilitarsi
 ed il nobile ancor vorrebbe alzarsi.
 D’un gradino alla volta
 qualchedun si contenta;
300alcuno due o tre ne fa in un salto
 ma lo sbalzo è peggior quanto è più alto.
 
    Vedo quell’albero
 che ha un pero grosso,
 pigliar nol posso,
305si sbalzi in su.
 
    Ma fatto il salto,
 salito in alto,
 vedo un perone
 grosso assai più.
 
310   Prender lo bramo,
 m’alzo sul ramo.
 Vado più in su.
 Ma poi precipito
 col capo in giù.
 
 SCENA VII
 
 Saloto in casa di don Tritemio con varie porte.
 
 EUGENIA, RINALDO, poi LESBINA
 
 EUGENIA
315Deh se mi amate, o caro,
 ite lontan da queste soglie. Oh dio!
 Temo che ci sorprenda il padre mio.
 Ah se il mio cor vi dono
 per or vi basti e non vogliate ingrato
320render lo stato mio più sventurato.
 RINALDO
 Del vostro genitore
 il soverchio rigor vi vuole oppressa.
 Deh pensate a voi stessa.
 EUGENIA
                                                Ai numi il giuro,
 non sarò d’altri, se di voi non sono.
 RINALDO
325Gradisco il vostro cor ma della mano
 il possesso mi cale...
 EUGENIA
                                       Oimè! Chi viene?
 RINALDO
 Non temete; è Lesbina.
 EUGENIA
                                             Io vivo in pene.
 LESBINA
 V’è chi cerca di voi, signora mia. (Ad Eugenia)
 EUGENIA
 Il genitore?
 LESBINA
                         Oibò. Sta il mio padrone
330col suo fattore e contano denari
 né si spiccia sì presto in tali affari.
 RINALDO
 Dunque chi è che la dimanda?
 LESBINA
                                                          Bravo!
 Voi pur siete curioso?
 Chi la cerca, signore, è il di lei sposo.
 RINALDO
335Come?
 EUGENIA
                 Che dici?
 LESBINA
                                     È giunto
 adesso, in questo punto,
 forte, lesto e gagliardo,
 il bellissimo Nardo e il padre vostro
 ha detto, ha comandato
340che gli dobbiate far buona accoglienza,
 se non per genio, almen per obbedienza.
 EUGENIA
 Misera! Che farò?
 RINALDO
                                    Corragio avrete
 di tradir chi v’adora?
 EUGENIA
                                          È ver, son figlia
 ma sono amante ancor. Chi mi consiglia?
 LESBINA
345Ambi pietà mi fatte;
 a me condur lasciate la facenda.
 Ritiratevi presto.
 EUGENIA
                                  Vado. (In atto di partire)
 RINALDO
                                               Anch’io. (In atto di seguire Eugenia)
 LESBINA
 Con grazia, padron mio,
 ritiratevi, sì, questo mi preme;
350ma non andate a ritirarvi insieme.
 Voi di qua; voi di là; così va bene.
 EUGENIA
 Soffrite, idolo mio. (Si ritira in una stanza)
 RINALDO
                                      Soffrir conviene. (Si ritira in un’altra stanza)
 
 SCENA VIII
 
 LESBINA, poi NARDO
 
 LESBINA
 Capperi! S’attaccava
 prestamente al partito.
355Troppo presto volea far da marito.
 Ecco il ricco villano;
 ora son nell’impegno;
 tutta l’arte vi vuol, tutto l’ingegno.
 NARDO
 Chi è qui?
 LESBINA
                       Non ci vedete?
360Per ora ci son io.
 NARDO
 Bondì a vosignoria.
 LESBINA
                                      Padrone mio.
 NARDO
 Don Tritemio dov’è?
 LESBINA
                                         Verrà fra poco.