Lo frate ’nnamorato, libretto, Napoli, De Bejase, 1734

 TRITEMIO
                            Mi rallegro con lei.
 RINALDO
95Ella ha una figlia...
 TRITEMIO
                                     Sì signor.
 RINALDO
                                                         Dirò,
 se fossi degno... Troppo ardire è questo...
 Ma m’isprona l’amor.
 TRITEMIO
                                          Intendo il resto.
 RINALDO
 Dunque, signor...
 TRITEMIO
                                   Dunque signor mio caro,
 per venire alle corte, io vi dirò...
 RINALDO
100M’accordate la figlia?
 TRITEMIO
                                          Signor no.
 RINALDO
 Ah mi sento morir!
 TRITEMIO
                                      Per cortesia
 non venite a morir in casa mia.
 RINALDO
 Che speri?
 TRITEMIO
                       Signor no.
 RINALDO
 Ma la ragione almeno
105dite perché né men si vuol ch’io speri.
 TRITEMIO
 La ragion?
 RINALDO
                       Vo’ saper...
 TRITEMIO
                                              Sì, volontieri.
 
    La mia ragione è questa,
 mi par ragione onesta.
 La figlia mi chiedeste
110e la ragion voleste.
 La mia ragion sta qui.
 Non posso dirvi sì,
 perché vo’ dir di no.
 
    Se non vi basta, ancora
115un’altra ne dirò.
 Rispondo: «Signor no,
 perché la vo’ così»;
 e son padron di dirlo;
 la mia ragion sta qui. (Parte)
 
 RINALDO
120Sciocca ragione indegna
 d’anima vil dell’onestà nemica.
 Ma non vo’ che si dica
 ch’io soffra un tale insulto,
 ch’io debba andar villanamente inulto.
125O Eugenia sarà mia
 o tu, padre inumano,
 ti pentirai del tuo costume insano. (Parte)
 
 SCENA IV
 
 Campagna con casa rustica.
 
 NARDO con una vanga ed alcuni villani, poi LENA
 
 NARDO
 
    Al lavoro, alla campagna,
 poi si gode, poi si magna
130con diletto e libertà.
 
    Oh che pane delicato,
 se da noi fu coltivato?
 Presto, presto a lavorare,
 a prodare, a seminare,
135e dipoi si mangerà;
 del buon vin si beverà;
 ed allegri si starà.
 
 Vanga mia benedetta!
 Mio diletto conforto e mio sostegno;
140tu sei lo scettro e questi campi il regno.
 Quivi regnò mio padre,
 l’avolo, il bisavolo ed il tritavolo
 e fur sudditi lor la zucca e il cavolo.
 Non cambierei, lo giuro,
145col piacer delle feste e de’ teatri
 zappe, trebbie, rastrei, vanghe ed aratri.
 LENA
 (Eccolo qui. La vanga
 è tutto il suo diletto).
 Se foste un poveretto,
150compatirvi vorrei; ma siete ricco,
 avete de’ poderi, de’ contanti;
 la fatica lasciate a’ lavoranti.
 NARDO
 Cara nipote mia,