Antigono, libretto, Lucca, Benedini, 1746

 SCENA V
 
 ALESSANDRO, poi ISMENE
 
 ALESSANDRO
 Or non v'è chi felice
 più di me possa dirsi. Ecco il più caro
565d'ogni trionfo.
 ISMENE
                             Oh quanto, ancorché infido (Con ironia)
 compatisco Alessandro! Essere amante.
 Vedersi disprezzar, son troppo invero,
 troppo barbare pene.
 ALESSANDRO
 Tanto per me non tormentarti Ismene.
 ISMENE
570L'ingrata Berenice
 alfin pensar dovea che tu famosa
 la sua beltà rendesti. Eguali andranno
 a' dì remoti, e tu cagion ne sei,
 Tessalonica a Troia, Elena a lei.
 ALESSANDRO
575Forse m'ama perciò.
 ISMENE
                                        T'ama?
 ALESSANDRO
                                                        E mia sposa
 oggi esser vuole.
 ISMENE
                                 (Oh dei!) D'un cangiamento
 tanto improviso io la ragion non vedo.
 ALESSANDRO
 Della pietà d'Ismene opra io lo credo.
 ISMENE
 Ah crudel! Mi deridi?
 ALESSANDRO
                                           Eh questi nomi
580d'infido e di crudel poni in oblio,
 principessa, una volta. I nostri affetti
 scelta non fur ma legge. Ignoti amanti
 ci destinaro i genitori a un nodo
 che l'anime non strinse. Essermi Ismene
585grata d'un'incostanza alfin dovria,
 onde il frutto è comun, la colpa è mia.
 ISMENE
 E perché dunque amore
 tante volte giurarmi?
 ALESSANDRO
                                          Io lo giurava
 senza intenderlo allor. Credea che sempre
590alle belle parlando
 si parlasse così.
 ISMENE
                               Tanta in Epiro
 innocenza si trova.