Il mondo alla roversa o sia Le donne che comandano, libretto, Amburgo, 1754 (Il mondo alla roverscia o sia Le donne che comandano)

 SCENA IV
 
 RINALDO solo
 
 RINALDO
180Sciocca ragione indegna
 d’anima vil dell’onestà nemica.
 Ma non vuo’ che si dica
 ch’io soffra un tale insulto,
 ch’io debb’andar villanamente inulto.
185O Eugenia sarà mia
 o tu, padre inumano,
 ti pentirai del tuo costume insano.
 
 SCENA V
 
 Campagna con casa rustica.
 
 NARDO esce di casa con una vanga accompagnato da alcuni villani
 
 NARDO
 
    Al lavoro, alla campagna,
 poi si gode, poi si magna
190con diletto e libertà.
 
    Oh che pane delicato,
 se da noi fu coltivato,
 presto, presto a lavorare,
 a prodare, a seminare,
195e doppoi si mangerà;
 del buon vin si beverà
 ed allegri si starà. (Partono i contadini, restandone uno impiegato)
 
 Vanga mia benedetta,
 mio diletto conforto e mio sostegno,
200tu sei lo scettro e questi campi il regno.
 Quivi regnò mio padre,
 l’avolo ed il bisavolo ed il triavolo.
 E fur sudditi lor la zucca, il cavolo.
 Nelle città famose
205ogni generazion si cambia stato.
 Se il padre ha accumulato
 con fatica, con arte e con periglio,
 distrugge i beni suoi prodigo il figlio.
 Qui, dove non ci tiene
210il lusso, l’ambizion, la gola oppressi,
 sono gl’uomini ognor sempre gl’istessi.
 Non cambierei, lo giuro,
 col piacer delle feste e dei teatri
 zappe, trebbie, rastrei, vanghe ed aratri.
 
 SCENA VI
 
 LA LENA ed il suddetto
 
 LA LENA
215Eccolo qui; la vanga
 è tutto il suo diletto.
 Se foste un poveretto,
 compatirvi vorrei ma siete ricco,
 avete dei poderi e dei contanti;
220la fatica lasciate ai lavoranti.
 NARDO
 Cara nipote mia,
 piuttosto che parlar come una sciocca,
 fareste meglio maneggiar la rocca.
 LA LENA
 Colla rocca, col fuso e coi famigli
225stanca son d’annoiarmi;
 voi dovreste pensare a maritarmi.
 NARDO
 Sì, volentieri. Presto
 comparisca un marito. Eccolo qui. (Accena un villano)
 Vuoi sposar mia nipote? Signorsì.
230Eccolo io ve lo do.
 Lo volete? Vi piace? (Alla Lena)
 LA LENA
                                        Signor no.
 NARDO
 Va’ a veder se passasse
 a caso per la strada
 qualche affammato con parucca e spada. (Al villano, il quale parte ridendo)
235Vedi? Ride Mingone e ti corbella.
 Povera vanarella,
 tu sposeresti un conte od un marchese,
 perché in meno d’un mese,
 strapazzata la dote e la fanciulla,
240la nobiltà ti riducesse al nulla.
 LA LENA
 Io non voglio un signor né un contadino.
 Mi basta un cittadino
 che stia bene...
 NARDO
                              Di che?
 LA LENA
                                               Ch’abbia un’entrata,
 qual a mediocre stato si conviene,
245che sia discreto e che mi voglia bene.
 NARDO
 Lena, pretendi assai,
 se lo brami così, nol troverai.
 Per lo più i cittadini
 hanno pochi quattrini e troppe voglie
250e non usano molto amar la moglie.
 Per pratica commune
 nelle cittadi usata,
 è maggior l’uscita dell’entrata.
 LA LENA
 Il signor don Tritemio
255è cittadino, eppure
 così non usa.
 Ma in villa se ne sta,
 perché nella città vede il pericolo
 d’esser vizioso o diventar ridicolo.
260Della figliuola sua
 v’han proposte le nozze, io ben lo so.
 NARDO
 Ed io la sposerò,
 perché la dote e il padre suo mi piace,
 con patto che non sia
265gonfia di vento e piena d’albagia.
 LA LENA
 L’avete ancor veduta?
 NARDO
 Ieri solo è venuta.
 Oggi la vederò.
 LA LENA
                               Dunque chi sa
 s’ella vi piacerà.
 NARDO
                                Basta non abbia
270visibili magagne;
 sono le donne poi tutte compagne.
 LA LENA
 Ammogliatevi presto signor zio
 ma voglio poscia maritarmi anch’io.
 
    Di questa poverella
275abbiate carità.
 Io son un’orfanella
 che madre più non ha.
 Voi siete il babbo mio.
 Vedete caro zio
280ch’io cresco nell’età.
 
    La vostra nipotina
 vorrebbe poverina...
 Sapete... M’intendete...
 Movetevi a pietà. (Parte)
 
 SCENA VII
 
 NARDO solo
 
 NARDO
285Sì signora; non dubiti,
 che contenta sarà.
 La si mariterà la poverina
 ma la vuo’ maritar da contadina.