Il mondo alla roversa o sia Le donne che comandano, libretto, Lipsia, 1754

 LA LENA
 Eccolo qui. La vanga
180è tutto il suo diletto. (Da sé)
 Se foste un poveretto, (A Nardo)
 compatir vi vorrei; ma siete ricco,
 avete dei poderi e dei contanti;
 la fatiga lasciate ai lavoranti.
 NARDO
185Cara nipote mia,
 più tosto che parlar come una sciocca,
 fareste meglio maneggiar la rocca.
 LA LENA
 Colla rocca e col fuso e coi famigli
 stanca son d’annoiarmi;
190voi dovreste pensare a maritarmi.
 NARDO
 Sì, volentieri. Presto (Accenna un villano)
 comparisca un marito. Eccolo qui.
 Vuoi sposar mia nipote? Signorsì.
 Eccolo; io ve lo do.
195Lo volete? Vi piace? (Alla Lena)
 LA LENA
                                        Signor no.
 NARDO
 Va’ a veder se passasse
 a caso per la strada
 qualche affamato con parrucca e spada. (Al villano, il quale parte ridendo)
 Vedi? Ride Mingone e ti corbella.
200Povera vanarella,
 tu sposeresti un conte od un marchese,
 perché in meno d’un mese,
 strapazzata la dote e la fanciulla,
 la nobiltà ti riducesse al nulla.
 LA LENA
205Io non voglio un signor né un contadino;
 mi basta un cittadino.
 NARDO
 Per lo più i cittadini
 hanno pochi quattrini e troppe voglie,
 e non usano molto amar la moglie.
 LA LENA
210Il signor don Tritemio
 è cittadino, eppure
 della figliuola sua
 v’han proposte le nozze, io ben lo so.
 NARDO
 Ed io la sposerò,
215perché la dote e il padre suo mi piace,
 con patto che non sia
 gonfia di vento e piena d’albagia.
 LA LENA
 L’avete ancor veduta?
 NARDO
 Ieri solo è venuta.
220Oggi la vederò.
 LA LENA
                               Dunque chi sa
 s’ella vi piacerà?
 NARDO
                                 Basta non abbia
 visibili magagne;
 sono le donne poi tutte compagne.
 LA LENA
 Ammogliatevi presto, signor zio.
225Ma voglio poscia maritarmi anch’io. (Parte)
 
 SCENA VII
 
 NARDO solo
 
 NARDO
 Sì signora, non dubiti,
 che contenta sarà.
 La si mariterà la poverina;
 ma la vuo’ maritar da contadina.
230Ecco; il mondo è così. Niuno è contento
 del grado in cui si trova
 e lo stato cambiare ognun si prova.
 Vorrebbe il contadino
 diventar cittadino; il cittadino
235cerca nobilitarsi;
 ed il nobile ancor vorrebbe alzarsi.
 D’un gradino alla volta
 qualchedun si contenta;
 alcuno due o tre ne fa in un salto;
240ma lo sbalzo è peggior quanto è più alto.
 
    Vedo quell’albero
 che ha un pero grosso;
 pigliar nol posso,
 si sbalzi in su.
 
245   Ma fatto il salto,
 salito in alto,
 vedo un perone
 grosso assai più.
 
    Prender lo bramo,
250m’alzo sul ramo,
 vado più in su.
 Ma poi precipito
 col capo in giù. (Parte)
 
 SCENA VIII
 
 Salotto in casa di don Tritemio con varie porte.
 
 EUGENIA e RINALDO
 
 EUGENIA
 Deh se mi amate, o caro,
255ite lontan da queste soglie. Oh dio!
 Temo che ci sorprenda il padre mio.
 RINALDO
 Del vostro genitore
 il soverchio rigor vi vuole oppressa.
 Deh pensate a voi stessa.
 EUGENIA
                                                Ai numi il giuro,
260non sarò d’altri, se di voi non sono.
 RINALDO
 Gradisco il vostro cor ma della mano
 il possesso mi cale...
 EUGENIA
                                       Ohimè! Chi viene?
 RINALDO
 Non temete; è Lesbina.
 EUGENIA
                                             Io vivo in pene.
 
 SCENA IX
 
 LESBINA e detti
 
 LESBINA
 V’è chi cerca di voi, signora. È giunto (Ad Eugenia)
265adesso, in questo punto,
 forte, lesto e gagliardo,
 il bellissimo Nardo; e il padre vostro
 ha detto, ha comandato
 che gli dobbiate far buona accoglienza,
270se non per genio, almen per obbedienza.
 EUGENIA
 Misera! Che farò?
 RINALDO
                                    Coraggio avrete
 di tradir chi v’adora?
 EUGENIA
                                          È ver, son figlia;
 ma sono amante ancor. Chi mi consiglia?
 LESBINA
 Ambi pietà mi fate.
275A me condur lasciate la faccenda.
 Ritiratevi presto.
 EUGENIA
                                  Vado. (In atto di partire)
 RINALDO