Il mondo alla roversa o sia Le donne che comandano, libretto, Praga, 1755 (Il mondo alla roverscia o sia Le donne che comandano)

 La ragion?...
 RINALDO
                          Vo’ saper...
 DON TRITEMIO
                                                 Sì, volentieri.
 
    La mia ragion è questa...
 Mi par ragione onesta.
 La figlia mi chiedeste
170e la ragion voleste...
 La mia ragion sta qui.
 Non posso dirvi sì,
 perché vo’ dir di no.
 
    Se non vi basta ancora,
175un’altra ne dirò;
 rispondo: «Signor no.
 Perché la vo’ così».
 E son padron di dirlo;
 la mia ragion sta qui. (Parte)
 
 SCENA IV
 
 RINALDO solo
 
 RINALDO
180Sciocca ragione indegna
 d’anima vil dell’onestà nemica.
 Ma non vo’ che si dica
 ch’io soffra un tale insulto,
 ch’io debb’andar villanamente inulto.
185O Eugenia sarà mia
 o tu, padre inumano,
 ti pentirai del tuo costume insano.
 
 SCENA V
 
 Campagna con casa rustica.
 
 NARDO esce di casa con una vanga accompagnato da alcuni villani
 
 NARDO
 
    Al lavoro, alla campagna,
 poi si gode, poi si magna
190con diletto e libertà.
 
    Oh che pane delicato,
 se da noi fu coltivato,
 presto, presto a lavorare,
 a prodare, a seminare,
195e doppoi si mangerà;
 del buon vin si beverà
 ed allegri si starà. (Partono i contadini, restandone uno impiegato)
 
 Vanga mia benedetta,
 mio diletto conforto e mio sostegno,
200tu sei lo scettro e questi campi il regno.
 Quivi regnò mio padre,
 l’avolo ed il bisavolo e il tritavolo.
 E fur sudditi lor la zucca, il cavolo.
 Nelle città famose
205ogni generazion si cambia stato.
 Se il padre ha accumulato
 con fatica, con arte e con periglio,
 distrugge i beni suoi prodigo il figlio.
 Qui, dove non ci tiene
210il lusso, l’ambizion, la gola oppressi,
 sono gl’uomini ognor sempre gl’istessi.
 Non cambierei, lo giuro,
 col piacer delle feste e dei teatri
 zappe, trebbie, rastrei, vanghe ed aratri.
 
 SCENA VI
 
 LA LENA ed il suddetto
 
 LA LENA
215Eccolo qui, la vanga
 è tutto il suo diletto. (Da sé)
 Se foste un poveretto,
 compatirvi vorrei ma siete ricco,
 avete dei poderi e dei contanti;
220la fatica lasciate ai lavoranti.
 NARDO
 Cara nipote mia,
 piuttosto che parlar come una sciocca,
 fareste meglio maneggiar la rocca.
 LA LENA
 Colla rocca, col fuso e coi famigli
225stanca son d’annoiarmi;
 voi dovreste pensare a maritarmi.
 NARDO
 Sì, volentieri. Presto
 comparisca un marito. Eccolo qui. (Accenna un villano)
 Vuoi sposar mia nipote? Signorsì.
230Eccolo io ve lo do.
 Lo volete? Vi piace? (Alla Lena)
 LA LENA
                                        Signor no.
 NARDO
 Va’ a veder se passasse
 a caso per la strada
 qualche affamato con parucca e spada. (Al villano, il quale parte ridendo)
235Vedi? Ride Mingone e ti corbella.
 Povera vanarella,
 tu sposeresti un conte od un marchese,
 perché in meno d’un mese,
 strapazzata la dote e la fanciulla,
240la nobiltà ti riducesse al nulla.
 LA LENA
 Io non voglio un signor né un contadino,
 mi basta un cittadino
 che stia bene...
 NARDO
                              Di che?
 LA LENA
                                               Ch’abbia un’entrata
 qual a mediocre stato si conviene,
245che sia discreto e che mi voglia bene.
 NARDO
 Lena, pretendi assai,
 se lo brami così, nol troverai.