Il mondo della luna, libretto, Milano, Malatesta, 1751

 quel vezzoso bocchin, quel bel visetto
 m’hanno fatta una piaga in mezzo al petto.
 GIACINTO
 Dunque, cara, mi amate.
 CINTIA
                                                Sì, v’adoro.
 GIACINTO
250Idol mio, mio tesoro,
 lingua non ho bastante
 per render grazie al vostro dolce amore.
 Concedete il favore
 che rispettosamente
255e umilissimamente
 io vi possa baciar la bella mano.
 CINTIA
 Oh signor no; voi lo sperate invano.
 GIACINTO
 Ma perché mai? Perché?
 CINTIA
 Queste grazie da me
260non si han sì facilmente.
 GIACINTO
 Io morirò.
 CINTIA
                      No me n’importa niente.
 GIACINTO
 Dunque se non v’importa,
 d’altra bella sarò.
 CINTIA
                                  Voi siete mio.
 GIACINTO
 Ah quel dolce rigor più m’incatena!
265Soffrirò la mia pena,
 morirò, schiatterò, se lo bramate.
 Basta, bell’idol mio, che voi mi amate.
 
    Cara quei occhi belli
 sono due solfanelli
270e polvere di botto
 tutto son io mio ben.
 Perciò di sopr’e sotto
 un terremoto ho in sen.
 
    Vicin’alle tue ciglia
275la polvere s’accende
 e ’l fuoco in me s’appiglia
 e tal vigor ei prende
 che fa venirmi men.
 
 SCENA VII
 
 CINTIA, poi TULLIA
 
 CINTIA
 Oh quanto mi fan ridere
280con questo sospirar, con questo piangere,
 gli uomini non s’avveggono
 che quanto più le pregano
 le donne insuperbite più diventano
 e gli amanti per giuoco allor tormentano.
 TULLIA
285Cintia, che mai faceste
 al povero Giacinto? Egli sospira.
 Egli smania e delira;
 ah, se così farete,
 l’impero di quel cor voi perderete.
 CINTIA
290Anzi più facilmente
 lo perderei colla pietade e i vezzi.
 Gli uomini sono avvezzi
 per la soverchia nostra
 facilità del sesso
295a saziarsi di tutto e cambiar spesso.
 
    Giovinotti innamorati
 io di voi mi prendo giuoco
 nel vedervi sospirar.
 
    A me piace il mio rigor.
300Quando l’uom si sfoga in pianto,
 scherzo, rido e god’intanto
 dal piacer di trionfar.
 
 SCENA VIII
 
 TULLIA, poi RINALDINO
 
 TULLIA
 Ma io, per dir il vero,
 sono di cor più tenero di lei,
305son con gli amanti miei
 quanto basta severa ed orgogliosa;
 ma son, quando fia d’uopo, anco pietosa.
 Talor fingo il rigore,
 freno di lor l’affetto e la baldanza,
310fra il timore li tengo e la speranza.
 RINALDINO
 Tullia, bell’idol mio,
 de’ vostri servi il più fedel son io,
 deh oziosa non lasciate
 la mia fede, il mio zelo,
315che sol quando per voi, bella, m’adopro,
 felicità nel mio destino io scopro.
 TULLIA
 Dite il ver Rinaldino,
 siete pentito ancor d’avervi reso
 suddito e servo mio? Vi pesa e incresce
320della smarrita libertà primiera,
 sembravi la catena aspra e severa?
 RINALDINO
 Oh dolcissimi nodi,
 sospirati, voluti e cari sempre
 al mio tenero cor! Sudino pure
325sotto l’elmo i guerrieri; Astrea tormenti
 i seguaci del foro; e di Galeno
 sui fogli malintesi
 studi e s’affanni il fisico impostore,
 io seguace d’amore,
330fuor della turba insana
 di chi mena sua vita in duri stenti,
 godo, vostra mercé, pace e contenti.
 TULLIA
 Noi con pietà trattiamo
 i vassalli ed i servi e non crudeli
335siamo coll’uom, qual colla donna è l’uomo,
 noi da’ consigli escluse,
 prive d’autorità, come se nate
 non compagne dell’uom ma serve e schiave,
 solo ad opre servili
340condannate dal vostro ingrato sesso,
 far per noi si dovria con voi lo stesso.
 Ma nostra autorità, nostro rigore
 temprerà dolce amore
 ed il vostro servir, che non fia grave,
345sarà grato per noi, per voi soave.
 
    Cari lacci, amate pene
 d’un fedele amante core
 che ha saputo al dio d’amore
 consecrar la libertà.
 
350   Se vicino al caro bene,
 non risente il suo tormento
 ma ripieno di contento
 il destin lodando va.
 
 SCENA IX
 
 RINALDINO solo
 
 RINALDINO
 Dov’è, dov’è chi dice
355che dura ed aspra sia
 d’amor la prigionia? Finché un amante
 vive dubbioso e incerto
 fra il dovere e l’amor, fra il dolce e il giusto,
 pace intera non ha ma poiché tutto
360s’abbandona al piacer gode e non sente
 i rimorsi del cor... Ma oh dio purtroppo
 li risento al mio sen, malgrado al cieco
 abbandono di me fatto al diletto
 e mi sgrida l’onore, a mio dispetto.
365Ah! Che farò? Si studi,
 se possibile sia, scacciar dal core
 il residuo fatal del mio rossore.
 
    Fra cento affanni e cento
 palpita l’alma e sento
370che invan da sue catene
 bramo disciolto il core.
 
    Mille soavi pene
 dolce mi dan martire
 e invan bramo e sospiro
375l’antica libertà.
 
 SCENA X
 
 GIACINTO ed AURORA
 
 GIACINTO
 Oh Diana mia gentile.
 AURORA
                                           Vago Ateone.
 GIACINTO
 Piacemi il paragone,
 poiché son vostro amante e vostro servo,
 ma ohimè, che Ateone è diventato un cervo!
 AURORA
380Io crudele non son qual fu la dea.
 GIACINTO
 Né io sarò immodesto
 qual fu il pastor dolente.
 AURORA
 Siete bello e prudente.
 GIACINTO
 Tutta vostra bontà.
 AURORA
385Giacinto in verità
 voi mi piacete assai.
 GIACINTO
 Arder tutto mi sento ai vostri rai.
 
 SCENA XI