Il mondo della luna, libretto, Torino, Avondo, 1760

 mie vezzose pupille
 spargo fiamme e faville; e questa bocca,
 che sembra agli occhi miei graziosa e bella,
205fa tutte innamorar quando favella.
 Queste donne son tutte
 invaghite di me; schiavo son io
 di queste belle, è vero,
 ma sovra il loro cor tutt’ho l’impero.
210Ecco la vaga Cintia. Presto, presto,
 il nastro, la parrucca, i guanti, tutto,
 tutto assettar conviene e gli occhi e il labbro,
 colle dolci parole e i dolci sguardi,
 si prepari a vibrar saette e dardi.
 CINTIA
215(Ecco il bell’amorino). (Ironicamente)
 GIACINTO
 Mia sovrana, mio nume, a voi m’inchino.
 CINTIA
 E ben, che fate qui?
 GIACINTO
                                       Qual farfalletta
 d’intorno al vostro lume
 vengo, mia bella, a incenerir le piume.
 CINTIA
220Parmi con più ragione
 vi potreste chiamare un farfallone.
 GIACINTO
 Quella vezzosa bocca
 non pronuncia che grazie e bizzarrie.
 CINTIA
 La vostra non sa dir che scioccherie.
 GIACINTO
225Deh lasciate ch’io possa
 coll’odoroso fiato
 de’ miei caldi sospiri
 quelle belle incensar guance adorate.
 CINTIA
 Andate via di qua; non mi seccate.
 GIACINTO
230Ah se sdegnate, o bella,
 i fumi del mio cor, porterò altrove
 il mio guardo, il mio piede,
 il mio affetto sincero e la mia fede.
 CINTIA
 Olà, così si parla?
235Voi staccarvi da me! Voi d’altra donna
 servo, schiavo ed amante?
 Temerario, arrogante!
 Voi dovete soffrir le mie catene.
 GIACINTO
 Qual mercede averò?
 CINTIA
                                          Tormenti e pene.
 GIACINTO
240Giove, Pluton, Nettuno,
 dei tremendi e possenti,
 voi che udite gli accenti
 d’una donna spietata,
 spezzate voi questa catena ingrata.
245Sì sì, Nettun m’inspira,
 Giove mi dà valore,
 Pluto mi dà furore,
 perfida tirannia,
 umilmente m’inchino e vado via.
 CINTIA
250Fermatevi; ed avrete
 tanto cor di lasciarmi?
 Voi diceste d’amarmi,
 di servirmi fedel con tutto il core
 ed ora mi lasciate? Ah traditore!
 GIACINTO
255Ma se voi mi sprezzate,
 se voi mi dileggiate,
 come s’io fossi un uom zotico e vile
 e studio invan di comparir gentile.
 CINTIA
 Senza studiar, voi siete
260abbastanza gentil, grazioso e bello.
 Quel occhio bricconcello,
 quel vezzoso bocchin, quel bel visetto
 m’hanno fatto una piaga in mezzo al petto.
 GIACINTO
 Dunque, cara, mi amate?
 CINTIA
                                                 Sì, v’adoro.
 GIACINTO
265Idol mio, mio tesoro,
 lingua non ho bastante
 per render grazie al vostro dolce amore.
 Concedete il favore
 che rispettosamente
270e umilissimamente
 io vi possa baciar la bella mano.
 CINTIA
 Oh signor no; voi lo sperate invano.
 GIACINTO
 Ma perché mai? Perché?
 CINTIA
 Queste grazie da me
275non si han sì facilmente.
 GIACINTO
 Io morirò.
 CINTIA
                      No me n’importa niente.
 GIACINTO
 Dunque, se non v’importa,
 d’altra bella sarò.
 CINTIA
                                  Voi siete mio.
 GIACINTO
 Che ne volete far?
 CINTIA
                                    Quel che vogl’io.
 GIACINTO
280Ah quel dolce rigor più m’incatena!
 Soffrirò la mia pena,
 morirò, schiatterò, se lo bramate.
 Basta, bell’idol mio, che voi mi amate.
 
    In quel volto siede un nume
285che fa strage del mio cor;
 in quegl’occhi veggo un lume
 che mi fa sperare amor.
 E frattanto vivo in pianto
 ed un uomo sì ben fatto
290contrafatto morirà.
 
    Se adorata esser volete,
 ecco qui, v’adorerò. (S’inginocchia)
 Se al mio core non credete,
 idol mio vel mostrerò.
295Ma crudele, oh dio! non siate
 ed abbiate almen pietà.
 
 SCENA VII
 
 CINTIA, poi TULLIA
 
 CINTIA
 Oh quanto mi fan ridere
 con questo sospirar, con questo piangere.
 Gli uomini non s’avveggono
300che quanto più le pregano
 le donne insuperbite più diventano
 e gli amanti per gioco allor tormentano.
 TULLIA
 Cintia, che mai faceste