L’olimpiade (Jommelli), libretto, Stoccarda, Cotta, 1761

 SCENA IV
 
 Vasta campagna alle falde d’un monte, sparse di capanne pastorali. Ponte rustico sul fiume Alfeo, composto di tronchi d’alberi rozzamente commessi. Veduta della città d’Olimpia in lontano, interrotta da poche piante che adornano la pianura ma non l’ingombrano.
 
 ARGENE in abito di pastorella tessendo ghirlande. Coro di ninfe e pastori tutti occupati in lavori pastorali. E poi ARISTEA con seguito
 
 CORO
 
    O care selve, o cara
 felice libertà.
 
 ARGENE
 
190   Qui se un piacer si gode,
 parte non v'ha la frode;
 ma lo condisce a gara
 amore e fedeltà.
 
 CORO
 
    O care selve, o cara
195felice libertà.
 
 ARGENE
 
    Qui poco ognun possiede
 e ricco ognun si crede;
 né più bramando impara
 che cosa è povertà.
 
 CORO
 
200   O care selve, o cara
 felice libertà.
 
 ARGENE
 
    Senza custodi o mura
 la pace è qui sicura,
 che l'altrui voglia avara
205onde allettar non ha.
 
 CORO
 
    O care selve, o cara
 felice libertà.
 
 ARGENE
 
    Qui gl'innocenti amori
 di ninfe... (S’alza da sedere)
 
                      Ecco Aristea.
 ARISTEA
                                                Siegui, o Licori.
 ARGENE
210Già il rozzo mio soggiorno
 torni a render felice, o principessa?
 ARISTEA
 Ah fuggir da me stessa
 potessi ancor, come dagli altri. Amica,
 tu non sai qual funesto
215giorno per me sia questo.
 ARGENE
                                                 È questo un giorno
 glorioso per te. Di tua bellezza
 qual può l'età futura
 prova aver più sicura? A conquistarti
 nell'olimpico agone
220tutto il fior della Grecia oggi s'espone.
 ARISTEA
 Ma chi bramo non v'è. Deh si proponga
 men funesta materia
 al nostro raggionar. Siedi Licori.
 Gl'interrotti lavori (Siede Aristea)
225riprendi e parla. Incomminciasti un giorno
 a narrarmi i tuoi casi. Il tempo è questo
 di proseguirgli. Il mio dolor seduci,
 raddolcisci, se puoi,
 i miei tormenti in rammentando i tuoi.
 ARGENE
230Se avran tanta virtù, senza mercede
 non va la mia costanza. A te già dissi (Siede)
 che Argene è il nome mio, che in Creta io nacqui
 d'illustre sangue, e che gli affetti miei
 fur più nobili ancor de' miei natali.
 ARISTEA
235So fin qui.
 ARGENE
                       De' miei mali
 ecco il principio. Del cretense soglio
 Licida il regio erede
 fu la mia fiamma ed io la sua; celammo
 prudenti un tempo il nostro amor; ma poi
240l'amor s'accrebbe e, come in tutti avviene,
 la prudenza scemò. Comprese alcuno
 il favellar de' nostri sguardi; ad altri
 i sensi ne spiegò; di voce in voce
 tanto in breve si stese
245il maligno rumor che 'l re l'intese.
 Se ne sdegnò; sgridonne il figlio; a lui
 vietò di più vedermi; e col divieto
 glien'accrebbe il desio. Che aggiunge il vento
 fiamme alle fiamme; e più superbo un fiume
250fanno gli argini opposti. Ebbro d'amore
 freme Licida e pensa
 di rapirmi e fuggir. Tutto il disegno
 spiega in un foglio; a me l'invia. Tradisce
 la fede il messo e al re lo reca. È chiuso
255in custodito albergo
 il mio povero amante. A me s'impone
 che a straniero consorte
 porga la destra. Io lo ricuso. Ognuno
 contro me si dichiara. Il re minaccia;
260mi condannan gli amici. Il padre mio
 vuol che al nodo acconsenta. Altro riparo
 che la fuga o la morte
 al mio caso non trovo. Il men funesto
 credo il più saggio; e l'esseguisco. Ignota
265in Elide pervenni. In queste selve
 mi proposi abitar. Qui fra pastori
 pastorella mi finsi; or son Licori.
 Ma serbo al caro bene
 fido in sen di Licori il cor d'Argene.
 ARISTEA
270Inver mi fai pietà. Ma la tua fuga
 non approvo però. Donzella e sola
 cercar contrade ignote;
 abbandonar...
 ARGENE
                             Dunque dovea la mano
 a Megacle donar?
 ARISTEA
                                   Megacle? (Oh nome!)
275Di qual Megacle parli?
 ARGENE
                                            Era lo sposo
 questi che 'l re mi destinò. Dovea
 dunque obbliar...
 ARISTEA
                                   Ne sai la patria?
 ARGENE
                                                                   Atene.
 ARISTEA
 Come in Creta pervenne?
 ARGENE
                                                  Amor vel trasse,
 com'ei stesso dicea, ramingo afflitto.
280Nel giungervi fu colto
 da stuol di masnadieri e oppresso ormai
 la vita vi perdea; Licida a sorte
 vi si avvenne e 'l salvò. Quindi fra loro
 fidi amici fur sempre. Amico al figlio,
285fu noto al padre; e dal reale impero
 destinato mi fu, perché straniero.
 ARISTEA
 Ma ti ricordi ancora
 le sue sembianze?
 ARGENE
                                    Io l'ho presente. Avea
 bionde le chiome, oscuro il ciglio, i labbri
290vermigli sì ma tumidetti, e forse
 oltre il dover; gli sguardi
 lenti e pietosi; un arrossir frequente;
 un soave parlar... Ma... principessa
 tu cambi di color! Che avvenne?
 ARISTEA
                                                             Oh dio!
295Quel Megacle che pingi è l'idol mio.
 ARGENE
 Che dici?
 ARISTEA
                     Il vero. A lui
 lunga stagion già mio secreto amante,
 perché nato in Atene,
 niegommi il padre mio; né volle mai
300conoscerlo, vederlo,
 ascoltarlo una volta. Ei disperato
 da me partì; più nol rividi; e in questo
 punto da te so de' suoi casi il resto.
 ARGENE
 Inver sembrano i nostri
305favolosi accidenti.
 ARISTEA
                                    Ah s'ei sapesse
 ch'oggi per me qui si combatte!
 ARGENE
                                                            In Creta
 a lui voli un tuo servo; e tu procura
 la pugna differir.
 ARISTEA
                                  Come?
 ARGENE
                                                  Clistene
 è pur tuo padre; ei qui presiede eletto
310arbitro delle cose; ei può, se vuole...
 ARISTEA
 Ma non vorrà.
 ARGENE
                             Che nuoce,
 principessa, il tentarlo?
 ARISTEA
                                              E ben, Clistene
 vadasi a ritrovar. (S’alzano)
 ARGENE
                                   Fermati. Ei viene.