L’olimpiade (Jommelli), libretto, Stoccarda, Cotta, 1761

 SCENA IV
 
 ARGENE, poi AMINTA
 
 ARGENE
1090E pure a mio dispetto
 sento pietade anch'io. Tento sdegnarmi,
 n'ho ragion, lo vorrei; ma in mezzo all'ira,
 mentre il labbro minaccia, il cor sospira.
 AMINTA
 Misero dove fuggo? Oh dì funesto!
1095Oh Licida infelice!
 ARGENE
                                     È forse estinto?
 AMINTA
 No; ma il sarà fra poco.
 ARGENE
 Povero prence! Oh dio!
 AMINTA
 Che giova il pianto?
 ARGENE
                                       Ed Aristea non giunse?
 AMINTA
 Giunse; ma nulla ottenne. Il re non vuole
1100o non può compiacerla.
 ARGENE
 E Megacle?
 AMINTA
                        Il meschino
 ne' custodi s'avvenne
 che ne andavano in traccia. Or l'ascoltai
 chieder fra le catene
1105di morir per l'amico. E se non fosse
 ancor ei delinquente,
 ottenuto l'avria. Ma un reo per l'altro
 morir non può.
 ARGENE
                               L'ha procurato almeno.
 O forte! O generoso! Ed io l'ascolto
1110senza arrossir? Dunque ha più saldi nodi
 l'amistà che l'amore? Ah quali io sento
 d'un'emula virtù stimoli al fianco.
 Sì; rendiamoci illustri; infin che dura
 parli il mondo di noi; faccia il mio caso
1115meraviglia e pietà; né si ritrovi
 nell'universo tutto
 chi ripeta il mio nome a ciglio asciutto.
 
    Fiamma ignota nell'alma mi scende;
 sento il nume; m'inspira, m'accende,
1120di me stessa mi rende maggior.
 
    Ferri, bende, bipenni, ritorte,
 pallid'ombre compagne di morte,
 già vi guardo ma senza terror. (Parte)