L’olimpiade (Pergolesi), libretto, Roma, 1735

 SCENA V
 
 CLISTENE con seguito e dette
 
 CLISTENE
 Figlia tutto è compito. I nomi accolti,
 le vittime svenate, al gran cimento
245l'ora prescritta. E più la pugna ormai,
 senza offesa de' numi,
 della pubblica fé, dell'onor mio
 differir non si può.
 ARISTEA
                                      (Speranza addio).
 CLISTENE
 Ragion d'esser superba
250io ti darei, se ti dicessi tutti
 quei che a pugnar per te vengono a gara.
 V'è Olinto di Megara;
 v'è Clearco di Sparta, Ati di Tebe,
 Erilo di Corinto; e fin di Creta
255Licida venne.
 ARGENE
                            Chi?
 CLISTENE
                                        Licida, il figlio
 del re cretense.
 ARISTEA
                               Ei pur mi brama?
 CLISTENE
                                                                  Ei viene
 con gli altri a pruova.
 ARGENE
                                         (Ah si scordò d'Argene).
 CLISTENE
 Sieguimi, o figlia.
 ARISTEA
                                    Ah questa pugna, o padre,
 si differisca.
 CLISTENE
                          Un impossibil chiedi:
260dissi perché. Ma la cagion non trovo
 di tal richiesta.
 ARISTEA
                               A divenir soggette
 sempre v'è tempo. È d'Imeneo per noi
 pesante il giogo; e già senz'esso abbiamo
 che soffrire abbastanza
265nella nostra servil sorte infelice.
 CLISTENE
 Dice ognuna così; ma il ver non dice.
 
    Del destin non vi lagnate,
 se vi rese a noi soggette:
 siete serve, ma regnate
270nella vostra servitù.
 
    Forti noi, voi belle siete;
 e vincete in ogni impresa,
 quando vengono a contesa
 la bellezza e la virtù. (Parte)