L’olimpiade (Pergolesi), libretto, Venezia, Rossetti, 1738

 non veggo l’ora d’essere la sposa.
 FLAMINIA
 E quando sarem spose
 avrem di soggezion finiti i guai?
275Anzi sarem soggete più che mai.
 CLARICE
 Eh sorella, i mariti
 non son più tanto austeri.
 Aman la libertade al par di noi
 ed abbada ciascuno ai fatti suoi.
 FLAMINIA
280Felici noi, se ci toccasse in sorte
 un marito alla moda. Ah sventurate,
 se un geloso ci tocca!
 CLARICE
                                        In pochi giorni
 o ch’io lo guarirei
 o che al mondo di là lo manderei.
 FLAMINIA
285Vorreste forse avvelenarlo?
 CLARICE
                                                    Oibò.
 Ma il secreto io so
 con cui questi gelosi
 dalle donne si fan morir rabbiosi.
 FLAMINIA
 Se l’accordasse il padre,
290spererei con Ernesto esser felice.
 CLARICE
 Lo spererei anch’io
 con Ecclitico mio.
 FLAMINIA
 Quell’Ecclitico vostro
 è un uom ch’altro non pensa
295che a contemplar or l’una, or l’altra stella.
 CLARICE
 Questo è quello, sorella,
 che in lui mi piace più.
 Finché si pensa alla luna ovvero al sole,
 la sua moglie farà quello che vuole.
 FLAMINIA
300Ma il genitor, io temo,
 non vorrà soddisfarci.
 CLARICE
                                           Evvi in tal caso
 un ottimo espediente.
 Maritarci da noi senza dir niente.
 FLAMINIA
 Ciò so che non conviene a onesta figlia
305ma se amor mi consiglia
 e il padre a me si oppone,
 io temo che all’amor ceda ragione.
 
    Se temo, se spero
 ancora non so;
310so ben che in pensiero
 fra il duolo e il piacere
 mi porta a godere,
 mi porta a penar.
 
    In questo martire
315riposo non ho;
 mi sento languire,
 mi sento mancar.
 
 SCENA VIII
 
 CLARICE, poi BUONAFEDE
 
 BUONAFEDE
 Brava, signora figlia,
 v’ho detto tante volte
320che non uscite dalla vostra stanza.
 CLARICE
 Ed io tant’altre volte
 mi sono dichiarata
 che non posso soffrir di star serrata.
 BUONAFEDE
 E ben bene, fraschetta,
325so io quel che farò.
 CLARICE
                                     Sì, castigatemi;
 cacciatemi di casa e maritatemi.
 BUONAFEDE
 Se io ti maritassi,
 non castigherei te ma tuo marito.
 Né castigo maggior dar gli potrei,
330quanto una donna pazza qual tu sei.
 CLARICE
 Io pazza? V’ingannate.
 Pazza sarei qualora
 mi lasciassi un po’ troppo intimorire
 e avessi per rispetto a intisicchire.
 
335   Son fanciulla da marito
 e lo voglio, già il sapete,
 e se voi non mel darete,
 da me stessa il prenderò.
 
    Ritrovatemi un partito
340che sia proprio al genio mio
 o lasciate, farò io;
 se lo cerco il troverò.
 
 SCENA IX
 
 BUONAFEDE, poi LISETTA
 
 BUONAFEDE
 Se mandarla potessi
 nel mondo della luna, avrei speranza
345castigata veder la sua baldanza.
 LISETTA
 Serva, signor padrone.
 BUONAFEDE
                                            Addio, Lisetta.
 LISETTA
 Vuol cenare?
 BUONAFEDE
                           È anco presto, aspetta un poco.
 LISETTA
 Ho posta già la panatella al foco.
 BUONAFEDE
 Brava, brava Lisetta, oh se sapessi
350le belle cose che ho vedute!
 LISETTA
                                                    E cosa
 ha veduto di bello?
 BUONAFEDE
 Ho avuta la fortuna
 di mirar dentro al tondo della luna.
 LISETTA
 (Ecco la sua pazzia).
 BUONAFEDE
                                        Senti, può darsi...
355Sai che ti voglio ben. Può darsi ancora,
 se tu mi sei fedel, se non ricusi
 di darmi un po’ d’aiuto,
 ch’io ti faccia veder quel che ho veduto.
 LISETTA
 Sapete pur ch’io sono
360vostra serva fedele e, se mi lice,
 vostra tenera amante
 (invaghita però sol del contante).
 BUONAFEDE
 Quand’è così, mia cara,
 della ventura mia ti voglio a parte.
365Vedrai d’un uomo l’arte
 quanto può, quanto vale;
 le prodezze vedrai d’un canocchiale.
 LISETTA
 Vorrei che un canocchial si desse al mondo
 con cui vedeste il fondo
370del mio povero cor che sol per voi
 arde d’amore e fede.
 (Egli è pazzo da ver, se me lo crede).
 BUONAFEDE
 Per rimirar là dentro
 in quel tuo cor sincero
375serve di canocchial il mio pensiero.
 Vedo che mi vuoi bene.
 Vedo che tu sei mia.
 LISETTA