Il prigionier superbo, libretto, Napoli, 1733

 SCENA XI
 
 SOSTRATE e detti
 
 SOSTRATE
 Come? vile che sei,
 tu a' piè del mio nemico?
 Sorgi: non s'ha da rimirar prostrato
 dinanzi ad un tiranno il sangue mio.
 ROSMENE
305Signore, in simil atto
 sol di Metalce l'ira
 tentai placar, che te privar di vita
 volea col ferro o 'l tosco.
 Deh! padre per pietà...
 SOSTRATE
                                            Non ti conosco.
 METALCE
310Placa pure una volta
 tanta ferocia, o prence:
 non irritarmi più. Dal piede i lacci
 ti sciolsi perché voglio
 spegnere l'odio antico:
315Sostrate, non sdegnar d'essermi amico.
 SOSTRATE
 Amico! E che direbbe
 il mondo in rimirar col traditore
 in amistà l'eroe? No, no, Metalce,
 usa di tua fortuna; e d'odiarti
320lascia me in libertà. Tu mia Rosmene
 penza, che da la man di questo iniquo
 il regno a me fu tolto, a te il germano;
 che Viridate è un traditor, ch'entrambi
 son miei nemici, e se furor ti manca
325per odiarlo a bastanza,
 penza che sei mia figlia,
 e tua ragion con l'ira mia consiglia.
 ROSMENE
 Padre, vedrai che di Rosmene il core
 sempre in odio per lui sarà lo stesso. (Parte)
 METALCE
330(Che invincibil fierezza!) Io t'abbandono
 in braccio al tuo destin, pensa al tuo danno,
 pensa che regge io sono
 e che col tuo furor mi fai tiranno. (Parte)
 SOSTRATE
 Sì, fa' ch'io rieda, o perfido, a' miei lacci,
335ma non sperar vedermi in quelli oppresso,
 ch'io non ti temo, e sono,
 nel carcere, nel trono,
 in ceppi e in libertà sempre l'istesso.
 
    Salda quercia allor che incalza
340d'aquilon lo sdegno e l'ira,
 più le cime al cielo inalza,
 più si mira insuperbir.
 
    E l'invitta mia costanza
 nel rigor dell'empia sorte
345rende il cor più fermo e forte;
 più s'avanza in me l'ardir.
 
 Fine dell’atto primo