Il prigionier superbo, libretto, Napoli, 1733

 SCENA VII
 
 ROSMENE, SOSTRATE e VIRIDATE
 
 SOSTRATE
 Amico Viridate, io ti negai
 di Rosmene le nozze, in onta ancora
 della grandezza mia, quando ti vidi
585al fier Metalce in amistà congiunto.
 Or ch'è comun tra noi l'odio di lui,
 di mia figlia le nozze
 all'inimico di Metalce io dono.
 VIRIDATE
 Né m'inganni, signor? deh! fortunate
590mie fatali agonie.
 SOSTRATE
 Rosmene, e che? tu piangi?
 ROSMENE
 Padre, di debolezza
 puoi tu accusarmi allor che un nuovo aggiungi
 titolo di giustizia al pianto mio?
 VIRIDATE
595E invidiar potrei, o mia diletta,
 questo estremo piacere alla mia fede
 di morire tuo sposo! Ah! non è degna
 delle lagrime tue questa fortuna.
 Ma già gli empi custodi (Si accosta una guardia a sollecitarli)
600ne affrettano al supplizio.
 ROSMENE
                                                 Oh! dì funesto!
 SOSTRATE
 Parto, Rosmene, e se mai fosse questo
 di mia vita infelice ultimo giorno,
 te del mio core erede
 con questo amplesso, e de' miei sdegni io chiamo.
605E tu prence, di questa
 principessa infelice
 il carattere prendi
 seco di real padre ed amoroso,
 e in mia vece l'innesta a quel di sposo.
 
610   Vado a morte, a te la figlia,
 lascio a te gli affetti miei.
 Tu rammentati chi sei,
 col dover tu ti consiglia.
 Il mio sangue vuol vendetta,
615a voi parla il genitor.
 
    Così solo negli Elisi
 avrà pace l'alma mia;
 così solo in compagnia
 non andrà del suo dolor.
 
 ROSMENE
620Sento svellermi il cor.
 VIRIDATE
                                          Parto, Rosmene:
 ma non funesti intanto
 le mie prime fortune il tuo bel pianto.
 ROSMENE
 All'agonie del padre e del consorte,
 come, mio Viridate,
625mai negarlo poss'io?
 VIRIDATE
 Mio dolce amore.
 ROSMENE
                                   Amato sposo.
 A DUE
                                                              Addio. (Parte Viridate)