Li prodigi della divina grazia, libretto, Roma, Zempel, 1742 (La conversione di San Guglielmo duca d’Aquitania)

 SAN GUGLIELMO
 Poiché l'uscio de' templi a me già serra
140il prescritto divieto, e contumace
 Roma m'accusa, ad implacabil guerra
 io m'armerò, né voglio mai più pace.
 A noi conviene intanto,
 o miei fidi, vegliar presso le soglie
145di questo maggior tempio,
 che d'Innocenzo i rei seguaci accoglie.
 Io vo' di lor lo scempio;
 se vassallaggio e fede
 a me negando alteri,
150contrastar oseranno a' miei voleri.
 Ma! qual in un momento,
 di noiosi pensieri alta tempesta
 a turbarmi si desta! Io ben la sento,
 che i miei spirti incatena,
155le gioie m'avvelena,
 l'ire nel petto ammorza,
 e gli occhi a lagrimar m'invoglia, e sforza.
 
    (Oh Dio!) fra le catene
 di pene il cor si pasce;
160mentre un rimorso nasce,
 altro peggior s'avvanza;
 ei soffre; e ardir, costanza
 si sente in sé mancar.
 
    Al fiero tempestoso
165nembo, che in sen mi freme,
 già privo di riposo
 gelo, pavento; e speme
 non ho, che torni in calma
 quest'alma a respirar.
 
170E v'è tanta viltà nel petto mio?
 Son io quello, son io,
 che con atroce gara
 la romana tiara
 sostenni d'Anacleto in su la chioma;
175che i fulmini di Roma
 sprezzai finor; che con maniere ostili
 i pastori scacciai da' sacri ovili.
 E a' rimorsi che provo
 dovrò cangiarmi adesso?
180No; pensier non rinovo,
 sempre sarò l'istesso; e purché segua
 il mio sommo consiglio,
 non curo anima e ciel porre in periglio.