Il re pastore, libretto, Lisbona, Stamperia Reale, 1770

 che il signor Buonafede, o sia baggiano,
250le tre donne ci dia colla sua mano.
 CECCO
 Oh bravo!
 ERNESTO
                      E come mai?
 ECCLITICO
                                                Tutto saprete.
 Preparate monete;
 preparate di far quel che dirò
 e la parola mia vi manterrò.
 
255   Un poco di denaro
 e un poco di giudizio
 vi vuol per quel servizio;
 voi m’intendete già.
 
    Contento voi sarete
260ma prima riflettete
 che il stolido e l’avaro
 mai nulla ottenerà.
 
 SCENA V
 
 ERNESTO e CECCO
 
 CECCO
 Costui dovrebbe al certo
 esser ricco sfondato.
 ERNESTO
                                        E a che motivo?
 CECCO
265Perché a far il mezzano
 egli non ha difficoltade alcuna
 ed è questo un mestier che fa fortuna.
 ERNESTO
 Tu dici male; Ecclitico è sagace
 e se in ciò noi compiace
270il fa perché Clarice ei spera e l’ama.
 CECCO
 Ho inteso, ho inteso. Ei brama
 render contenti i desideri suoi
 e vuol far il piacer pagar a noi.
 ERNESTO
 Orsù taci e rammenta
275chi son io, chi sei tu.
 CECCO
 Per cent’anni, padron, non parlo più.
 ERNESTO
 Vado in questo momento
 denaro a proveder. Tu va’, m’attendi
 d’Ecclitico all’albergo, ove domani,
280mercé il di lui talento,
 spero che l’amor mio sarà contento.
 
    Begli occhi vezzosi
 dell’idolo amato
 brillanti amorosi,
285sperate che il fato
 cangiar si dovrà.
 
    Bei labbri ridenti
 del viso che adoro,
 sarete contenti
290che il nostro ristoro
 lontan non sarà.
 
 SCENA VI
 
 CECCO solo
 
 CECCO
 Qualche volta il padron mi fa da ridere.
 Ei segue il mondo stolido;
 cambia alle cose il termine
295e il nome cambia ben e spesso agli uomini.
 Per esempio a un ipocrita
 si dice uom divotissimo;
 all’avaro si dice un bravo economo
 e generoso vien chiamato il prodigo.
300Così appella talun bella la femmina,
 perché sul volto suo la biacca semina.
 
    Mi fanno ridere
 quelli che credono
 che quel che vedono
305sia verità.
 
    Non sanno i semplici
 che tutti fingono,
 che il vero tingono
 di falsità.
 
 SCENA VII
 
 Camera in casa di Bonafede con loggia aperta, tavolino con lumi e sedie.
 
 FLAMINIA e CLARICE
 
 CLARICE
310Eh venite, germana,
 andiam su quella loggia
 a goder della notte il bel sereno.
 FLAMINIA
 Se il genitor austero
 ci ritrova colà, misere noi.
 CLARICE
315Che badi a’ fatti suoi.
 Ci vuol tener rinchiuse
 e dall’aria difese,
 come fossimo noi tele di ragno.
 FLAMINIA
 Finché noi siam soggette
320al nostro genitor convien soffrire.
 CLARICE
 Ma io per vero dire,
 stanca di questa soggezion noiosa,
 non veggo l’ora d’essere la sposa.
 FLAMINIA
 E quando sarem spose
325avrem di soggezion finiti i guai?