Il re pastore, libretto, Lisbona, Stamperia Reale, 1770

 SCENA V
 
 ALESSANDRO, AGENORE
 
 AGENORE
 (Or per la mia Tamiri
 è tempo di parlar).
 ALESSANDRO
                                      La gloria mia
 me fra lunghi riposi,
 o Agenore non soffre. Oggi a Sidone
435il suo re donerò. Col nuovo giorno
 partir vogl'io. Ma, tel confesso, appieno
 sodisfatto non parto.
 Tamiri, o dei, Tamiri! Ov'ella giunga
 fuggitiva, raminga,
440di me che si dirà? Che un empio io sono,
 un barbaro, un crudele.
 AGENORE
 (Coraggio).
 ALESSANDRO
                        Avrei potuto
 altrui mostrar, se non fuggia Tamiri,
 ch'io distinguer dal reo so l'innocente.
 AGENORE
445Non lagnarti; il potrai.
 ALESSANDRO
                                            Come?
 AGENORE
                                                            È presente.
 ALESSANDRO
 Chi?
 AGENORE
             Tamiri.
 ALESSANDRO
                              E mel taci?
 AGENORE
                                                     Il seppi appena
 che a te venni; e or volea...
 ALESSANDRO
                                                   Corri, t'affretta,
 guidala a me.
 AGENORE
                            Vado e ritorno. (In atto di partire)
 ALESSANDRO
                                                          Aspetta; (Pensa)
 (ah sì; mai più bel nodo (Risoluto da sé)
450non strinse amore). Or sì, contento a pieno
 partir potrò. Vola a Tamiri e dille
 ch' oggi al nuovo sovrano
 io darò la corona, ella la mano.
 AGENORE
 La man?
 ALESSANDRO
                    Sì amico. Ah con un sol diadema
455di due bell'alme io la virtù corono!
 Ei salirà sul trono,
 senza ch'ella ne scenda; e a voi la pace,
 la gloria al nome mio
 rendo così; tutto assicuro.
 AGENORE
                                                 (Oh dio!)
 ALESSANDRO
460Tu impallidisci e taci!
 Disapprovi il consiglio? È pur Tamiri...
 AGENORE
 Degnissima del trono.
 ALESSANDRO
                                           È un tal pensiero...
 AGENORE
 Degnissimo di te.
 ALESSANDRO
                                   Di quale affetto
 quel tacer dunque è segno e quel pallore?
 AGENORE
465Di piacer, di rispetto e di stupore.
 ALESSANDRO
 
    Se vincendo vi rendo felici,
 se partendo non lascio nemici,
 che bel giorno fia questo per me!
 
    De' sudori ch'io spargo pugnando
470non dimando più bella mercé. (Parte con tutto il seguito)