L’Arcadia in Brenta, libretto, Milano, Malatesta, 1750

 SCENA X
 
 Sala. Sinfonia che precede la comedia.
 
 GIACINTO col nome di Cintio e FABRIZIO da Pulcinella, LAURETTA da Colombina, LINDORA col nome di Diana e infine il CONTE da Pantalone
 
 GIACINTO
 Seguimi, Pulcinella.
 FABRIZIO
                                       Eccome cà.
 GIACINTO
 Siccome un'atra nube
 s'oppone al sole e l'ampia terra oscura,
 così da quelle mura
985coperto il mio bel sol, cui l'altro cede,
 l'occhio mio più non vede, ond'è che afflitto
 i nuovi raggi del mio sole attendo.
 FABRIZIO
 Tu me parle tidisca, io non t'intendo.
 GIACINTO
 Fedelissimo servo,
990batti tu a quella porta.
 FABRIZIO
 A quale porta?
 GIACINTO
                              A quella.
 FABRIZIO
                                                 Io non la vedo.
 GIACINTO
 Finger dei che vi sia.
 Invece della porta,
 in un quadro si batte o in una sedia,
995come i comici fanno alla comedia.
 FABRIZIO
 Aggio caputo ma famme na grazia;
 pe che da tozzolare aggio alla porta?
 GIACINTO
 Acciò che la mia bella
 venga meco a parlar.
 FABRIZIO
                                         Cà sulla strada?
 GIACINTO
1000È ver, non istà bene
 che facciano l'amor sopra la strada
 civili onesti amanti.
 Ma ciò sogliono usar i comedianti.
 FABRIZIO
 Sì sì, tozzolerò ma se qualcuno,
1005quando ho battuto io, battesse a me?
 GIACINTO
 Lascia far, non importa, io son per te.
 FABRIZIO
 O de casa.
 LAURA
                      Chi batte? (Di dentro)
 FABRIZIO
                                            Songo io.
 LAURA
 Serva sua, signor mio.
 FABRIZIO
 Patron, chessa è per me.
 GIACINTO
                                               Chi siete voi,
1010quella giovine bella?
 LAURA
 Io sono Colombina Menarella.
 GIACINTO
 Di Diana cameriera?
 LAURA
 Per servir vusustrissima.
 FABRIZIO
 Obregato, obregato.
 GIACINTO
                                       Deh vi prego,
1015chiamatela di grazia.
 CONTE
                                         Colombina. (Di dentro da Pantalone)
 LAURA
 Oimè, quest'è il padrone.
 FABRIZIO
 Mannaggia a Pantalone.
 GIACINTO
 Ritiriamoci tosto. (Si ritira)
 FABRIZIO
 Poss'esse Pantalone fatto arruosto. (Si ritira)
 CONTE
1020Cossa xe, fantolina.
 Cossa xe, Colombina,
 cossa fastu qua in strada?
 LAURA
                                                 Ero venuta
 per lo spazzacamino.
 CONTE
 Se ti ha qualche camin da governar,
1025sì ben che mi son vecchio e poco bon,
 co se tratta de ti,
 vegnirò, coccoletta, a scoarlo mi.
 LAURA
 Caro signor padrone,
 mi fate vergognar.
 CONTE
                                     Caro quel sesto!
1030Caro quel viso bello,
 per ti, viscere mie, perdo el cervello.
 
    Per ti, mia coccoletta
 amor da furbacchietto
 sonando il ciuffoletto
1035la bella furlanetta
 el me vol far ballar.
 
    Via, cara, vegnì a mi,
 oh viscerette care,
 ah che non posso più. (Parte)
 
 GIACINTO
1040È andato.
 FABRIZIO
                     Fosse acciso.
 GIACINTO
 Chiamatela di grazia.
 LAURA
                                          Ora la servo.
 FABRIZIO
 Sienteme peccerella,
 viencene ancora tu,
 ch'a nce devertarimo fra de nuie.
 LAURA
1045Sì sì, questa è l'usanza,
 se i padroni fra lor fanno l'amore,
 fa l'amor colla serva il servitore.
 
    Il padron colla padrona
 fa l'amor con nobiltà.
1050Noi andiamo giù alla bona
 senza tanta civiltà.
 
    Dicon quelli: «Idolo mio,
 peno, moro, smanio, oh dio!»
 Noi diciam senz'altre pene:
1055«Mi vuoi ben, ti voglio bene»
 e in tal modo presto presto
 ogni duol si fa passar.
 
    Dicon lor ch'è un gran tormento
 quell'amor che accende il core;
1060diciam noi ch'è un gran contento
 quel che al cor ci reca amore.
 Ma il divario da che viene?
 Perché han quei mille riguardi;
 penan molto e parlan tardi.
1065Noi diciam quel che conviene
 senza tanto sospirar. (Si ritira fingendo chiamar Diana)
 
 GIACINTO
 Ti piace, Pulcinella?
 FABRIZIO
 A chi non piaceresti o Menarella?
 GIACINTO
 Ecco, viene quel bel che m'innamora.
 FABRIZIO
1070Con essa viene Menarella ancora. (Vengono Lindora e Lauretta)
 GIACINTO
 Venite, idolo mio,
 venite per pietà.
 LINDORA
 Vengo, vengo, mio bene, eccomi qua.
 GIACINTO
 Voi siete il mio tesoro.
 LINDORA
1075Per voi languisco e moro.
 FABRIZIO
 Ah tu si' la mia bella. (A Laura)
 LAURA
 Ah voi siete il mio caro Pulcinella.
 GIACINTO
 A voi donato ho il core. (A Lindora)
 LINDORA
 Ardo per voi d'amore.
 FABRIZIO
1080Per te me sento lo Vesuvio in petto. (A Laura)
 LAURA
 Cotto è il mio core al foco dell'affetto.
 GIACINTO
 
    Vezzosetta, mia diletta. (A Lindora)
 
 FABRIZIO
 
 Menarella, mia carella.
 
 LINDORA
 
 Cintio caro, Cintio mio.
 
 LAURA
 
1085Pulcinella bello mio.
 
 LINDORA
 
 Che contento, che diletto.
 
 LAURA
 
 Vien, mio bene, a questo petto.
 
 A QUATTRO
 
 Io ti voglio un po' abbracciar. (Viene da Pantalone)
 
 PANTALONE
 
    Ola, ola, cossa feu?
1090Abbrazzai? Cagadonai?
 Via caveve, via de qua.
 
 LINDORA
 
    Io m'inchino al genitore.
 
 LAURA
 
 Serva sua, signor padrone.
 
 GIACINTO
 
 Riverisco mio signore.
 
 FABRIZIO
 
1095Te so' schiavo Pantalone.
 
 PANTALONE
 
 El ziradonarve attorno,
 tutti andeve a far squartar.
 
 GIACINTO
 
    Vuol ch'io vada?
 
 PANTALONE
 
                                    Mi ve mando.
 
 FABRIZIO
 
 Vado anch'io?
 
 PANTALONE
 
                             Mi v'ho mandao.
 
 GIACINTO
 
1100Anderò colla mia bella.
 
 FABRIZIO
 
 Anderò con Menarella.
 
 LINDORA, LAURA
 
 Io contenta venirò.
 
 PANTALONE
 
 Via, tiolé sto canelao.
 Colle putte? Oh questo no.
 
 LINDORA
 
1105   Signor padre, per pietà. (S’inginocchia)
 
 LAURA
 
 Gnor padron, per carità. (S’inginocchia)
 
 GIACINTO
 
 Deh vi supplico ancor io. (Fa lo stesso)
 
 FABRIZIO
 
 Pantalon, patrone mio. (Fa lo stesso)
 
 PANTALONE
 
 Duro star no posso più.
1110Via mattazzi, levé su.
 
 A QUATTRO
 
    Io vi prego.
 
 PANTALONE
 
                           Zitto là.
 
 A QUATTRO
 
 Vi scongiuro.
 
 PANTALONE
 
                           Vegnì qua.
 
    Cari fioi, deve la man.
 Alla fin son venezian,
1115m'avé mosso a compassion.
 
 A QUATTRO
 
 Viva, viva Pantalon.
 
 A CINQUE
 
    Viva, viva il dolce affetto;
 viva, viva quel diletto
 che produce un vero amor,
1120che consola il nostro cor.
 
 Fine dell’atto secondo