L’Arcadia in Brenta, libretto, Presburgo, Landerer, 1759

 FABRIZIO, poi FORESTO
 
 FABRIZIO
 Si contenga chi può, corpo del diavolo
560non ne potevo più.
 FORESTO
                                     Signor Fabrizio,
 il principe d’Arcadia ha comandato
 che dobbiam recitar all’improviso
 stassera una comedia.
 FABRIZIO
                                           Io non ne so.
 FORESTO
 Non temete, ch’io vi contenterò.
565Il conte ha destinato
 di far da innamorato;
 da innamorata dovrà far madama;
 Lauretta fa la serva,
 io fo da genitore
570e voi dovete far da servitore.
 FABRIZIO
 Da servitor?
 FORESTO
                          Cioè la parte buffa.
 FABRIZIO
 Il buffo io dovrò far! Quest’è un mestiere
 ch’è difficile assai,
 per far ridere i pazzi
575non vi vuol grand’ingegno
 ma far rider i savi è grand’impegno.
 FORESTO
 Già s’avvanza la notte,
 andatevi a vestir, ch’io venirò.
 FABRIZIO
 Farò quel che potrò.
580Mi dispiace il parlar all’improviso.
 Se fosse una comedia almen studiata,
 si potrebbe salvar il recitante,
 dicendo che il poeta è un ignorante. (Parte)
 
 SCENA VII
 
 FORESTO solo
 
 FORESTO
 Certo, non dice mal, sogliono tutti
585gettar la colpa su la schiena altrui.
 Se un’opera va mal, dice il poeta:
 «La mia composizion è buona e bella;
 quel ch’ha fallato è il mastro di capella».
 E questo d’aver fatto
590gran musica si vanta,
 e che il difetto vien da chi la canta.
 Infine l’impresario,
 senza saper qual siane la cagione,
 se ne va dolcemente in perdizione.
 
 Aria
 
595   Impallidisce in campo
 anche il guerier ferroce
 a quella prima voce
 che all’armi lo destò.
 
    D’ardir  non è diffetto
600un’ombra di timore
 che nel fuggir dal petto
 sul volto si fermò.
 
 SCENA VIII
 
 Il CONTE col nome di Cintio e FABRIZIO da Pulcinella; LAURETTA da Colombina, LINDORA col nome di Diana e infine FORESTO da Pantalone
 
 CONTE
 Seguimi, Pulcinella.
 FABRIZIO
                                       Eccome cà.
 CONTE
 Siccome un’atra nube
605s’oppone al sole e l’ampia terra oscura,
 così da quelle mura
 coperto il mio bel sol, cui l’altro cede,
 l’occhio mio più non vede, ond’è che afflitto
 i nuovi raggi del mio sole attendo.
 FABRIZIO
610Tu me parle tidisca, io non t’intendo.
 CONTE
 Fedelissimo servo,
 batti tu a quella porta.
 FABRIZIO
 A quale porta?
 CONTE
                              A quella.
 FABRIZIO
                                                 Io non la vedo.
 CONTE
 Finger dei che vi sia.
615Invece della porta,
 in un quadro si batte o in una sedia,
 come i comici fanno alla comedia.
 FABRIZIO
 Aggio caputo ma famme na grazia;
 pe che da tozzolare aggio alla porta?
 CONTE
620Acciò che la mia bella
 venga meco a parlar.
 FABRIZIO
                                         Cà sulla strada?
 CONTE
 È ver, non istà bene
 che facciano l’amor sopra la strada
 civili onesti amanti
625ma ciò sogliono usar i commedianti.
 FABRIZIO
 Sì sì, tozzolerò ma se qualcuno,
 quando ho battuto io, batesse a me?
 CONTE
 Lascia far, non importa, io son per te.
 FABRIZIO
 O de casa.
 LAURA
                      Chi batte? (Di dentro)
 FABRIZIO
                                            Son io.
 LAURA
630Serva sua, signor mio.
 FABRIZIO
 Patron, chessa è per me.
 CONTE
                                               Chi siete voi,
 quella giovine bella?
 LAURA
 Io sono Colombina Menarella.
 CONTE
 Di Diana cameriera?
 LAURA
635Per servir vusustrissima.
 FABRIZIO
 Obregato, obregato.
 CONTE
                                       Deh vi prego,
 chiamatela di grazia.
 LAURA
                                         Ora la servo.
 FABRIZIO
 Sienteme, peccerella,
 vienence ancora tu,
640ch’a nce devertarimo fra de nuie.
 LAURA
 Sì sì, questa è l’usanza,
 se i padroni fra lor fanno l’amore,
 fa l’amor colla serva il servitore.
 
 Aria
 
    Il padron colla padrona
645fa l’amor con nobilità.
 Noi andiamo giù alla bona
 senza tanta civilità.
 
    Dicon quelli: «Idolo mio,
 peno, moro, smanio, oh dio!»
650Noi diciam senz’altre pene:
 «Mi vuoi ben, ti voglio bene»;
 e facciamo presto presto
 tutto quel che s’ha da far.
 
    Dicon lor ch’è un gran tormento
655quell’amor che accende il core;
 diciam noi ch’è un gran contento
 quel che al cor ci reca amore.
 Ma il divario da che viene?
 Perché han quei mille riguardi;
660noi diciam quel che conviene
 senza tanto sospirar. (Si retira fingendo chiamar Diana)
 
 CONTE
 Ti piace, Pulcinella?
 FABRIZIO
 A chi non piaceresti, o Menarella?
 CONTE
 Ecco vienne quel bel che m’innamora.
 FABRIZIO
665Con essa vienne Menarella ancora. (Vengono Lindora e Lauretta)
 CONTE
 Venite, idolo mio,
 venite per pietà.
 LINDORA
 Vengo, vengo, mio bene, eccomi qua.
 CONTE
 Voi siete il mio tesoro.
 LINDORA
670Per voi languisco e moro.
 FABRIZIO
 Ah tu si’ la mia bella. (A Laura)
 LAURA
 Ah voi siete il mio caro Pulcinella.
 CONTE
 A voi donato ho il core. (A Lindora)
 LINDORA
 Ardo per voi d’amore.
 FABRIZIO
675Per te me sento lo Vesuvio in pietto. (A Laura)
 LAURA
 Cotto è il mio core al foco dell’affetto.
 
 Quintetto
 
 CONTE
 
    Vezzosetta, mia dileta. (A Lindora)
 
 FABRIZIO
 
 Menarella, mia caretta.
 
 LINDORA
 
 Cintio caro, Cintio mio.
 
 LAURA