L’Arcadia in Brenta, libretto, Genova, Tarigo, 1764

 SCENA VII
 
 FABRIZIO, poscia LINDORA
 
 FABRIZIO
 Tutto va ben. Lo so che mi rovino;
 ma non importa; almen anch'io godessi
 da codeste mie ninfe traditore
875un qualche segno di pietoso amore.
 LINDORA
 Signor Fabrizio? (Di lontano)
 FABRIZIO
                                   (Questa, a dire il vero,
 mi par troppo flemmatica).
 LINDORA
                                                     Non sente.
 Signor Fabrizio? (Di lontano)
 FABRIZIO
                                   (Eppur, se mi volesse,
 io non ricuserei
880di fare un poco il cicisbeo con lei).
 LINDORA
 Si... gnor Fa... bri... zio. (Con caricatura)
 FABRIZIO
                                              Oh cielo! Mi perdoni,
 non l'avevo sentita.
 LINDORA
 Ho gridato sì forte che la gola
 mi si è tutta enfiata;
885quasi in petto una vena m'è crepata.
 FABRIZIO
 Cancaro. Se ne guardi.
 Favorisca.
 LINDORA
                      M'aiuti.
 FABRIZIO
                                       Eccomi lesto.
 LINDORA
 Non mi tocchi.
 FABRIZIO
                              Perché?
 LINDORA
                                               Son tenerina.
 FABRIZIO
 Impastata mi par di ricottina.
 LINDORA
890Ahi sono stanca.
 FABRIZIO
                                 Si accomodi, madama.
 LINDORA
 Sederei volentier ma questa sedia
 è dura indiavolata.
 Sul morbido seder sono avvezzata.
 FABRIZIO
 Ehi... Dico pian, non tema. Ehi reca tosto
895una sedia miglior. (Viene il servo)
 LINDORA
                                     Molt'obbligata. (Il servo va e torna con una sedia di damasco)
 FABRIZIO
 Sieda qui, starà meglio.
 LINDORA
                                              Oibò, è sì dura
 codesta imbottitura
 ch'io non posso sperar di starvi bene.
 FABRIZIO
 (Rimediarvi conviene).
900Porta la mia poltrona.
 LINDORA
 Compatisca, signor.
 FABRIZIO
                                       Ella è padrona. (Torna il servo con la poltrona)
 Eccola, se ne servi.
 LINDORA
                                     Oh peggio, peggio.
 No no, non me ne curo;
 il guancial di vacchetta è troppo duro.
 FABRIZIO
905Eh corpo d'un giudio,
 ora la servo io. (Parte)
 LINDORA
                               Portate via
 la sedia ed il guanciale,
 quell'odor di vacchetta, ahi, mi fa male. (Torna Fabrizio con materazzo)
 FABRIZIO
 Eccolo, un materazzo;
910di più non posso far.
 LINDORA
                                        Quest'è un strappazzo.
 Lo conosco, lo so; no, non credevo
 dover soffrir cotanto;
 ahi, che mi viene pel dolore il pianto.
 
    Voglio andar... Non vo' più star;
915più beffata esser non vo'.
 Signorsì, me ne anderò.
 Sono tanto tenerina
 che ogni cosa mi scompone
 e voi siete la cagione
920che mi ha fatto lagrimar. (Parte)