Artaserse, libretto, Roma, Amidei, 1749

 se ne va dolcemente in perdizione.
 
    Perché riesca bene un’opera,
 quante cose mai vi vogliono?
 Libro buono e buona musica,
985buone voci e donne giovani,
 balli, suoni, scene e macchine.
 E poi basta? Signor no.
 Che vi vuole? Io non lo so!
 Ma nol sa nemmen chi critica,
990benché ognun vuol criticar.
 
    Parla alcuno per invidia,
 alcun altro per non spendere,
 mentre il più di tutti gli uomini
 col capriccio che li domina
995suol pensare e giudicar.
 
 SCENA X
 
 Sala.
 
 Il CONTE col nome di Cintio e FABRIZIO da Pulcinella, LAURETTA da Colombina, LINDORA col nome di Diana e infine FORESTO da Pantalone
 
 CONTE
 Seguimi, Pulcinella.
 FABRIZIO
                                       Eccome ccà.
 CONTE
 Siccome un’altra nube
 s’oppone al sole e l’ampia terra oscura,
 così da quella mura
1000coperto il mio bel sol, cui l’altro cede,
 l’occhio mio più non vede. Ond’è che afflitto
 i nuovi raggi del mio sole attendo.
 FABRIZIO
 Tu me parla tidisca, io non t’intendo.
 CONTE
 Fedelissimo servo,
1005batti tu a quella porta.
 FABRIZIO
 A quale porta?
 CONTE
                              A quella.
 FABRIZIO
                                                 Io non la vedo.
 CONTE
 Finger dei che vi sia,
 invece della porta,
 in un quadro si batte o in una sedia,
1010come i comici fanno alla commedia.
 FABRIZIO
 Aggio caputo ma famme una grazia;
 perché da tozzolare aggio alla porta?
 CONTE
 Acciò che la mia bella
 venga meco a parlar.
 FABRIZIO
                                         Ccà sulla strada?
 CONTE
1015È ver, non istà bene
 che facciano l’amor sopra la strada
 civili onesti amanti.
 Ma ciò sogliono usar i commedianti.
 FABRIZIO
 Sì sì, tozzolerò ma se qualcuno,
1020quando ho battuto io, battesse a me?
 CONTE
 Lascia far; non importa, io son per te.
 FABRIZIO
 O de casa.