Artaserse, libretto, Roma, Amidei, 1749

 SCENA V
 
 Camera.
 
 MANDANE, poi SEMIRA
 
 MANDANE
 O che all'uso de' mali
 istupidisca il senso, o ch'abbian l'alme
 qualche parte di luce
 che presaghe le renda, io per Arbace
1380quanto dovrei non so dolermi. Ancora
 l'infelice vivrà; se fosse estinto
 già purtroppo il saprei. Porta i disastri
 sollecita la fama.
 SEMIRA
                                 Alfin potrai
 consolarti Mandane. Il ciel t'arrise.
 MANDANE
1385Forse il re sciolse Arbace?
 SEMIRA
                                                  Anzi l'uccise.
 MANDANE
 Come!
 SEMIRA
                È noto a ciascun; benché in segreto
 ei terminò la sua dolente sorte.
 MANDANE
 (O presaggi fallaci! O giorno! O morte!)
 SEMIRA
 Eccoti vendicata, ecco adempito
1390il tuo genio crudel. Ti basta? O vuoi
 altre vittime ancor? Parla.
 MANDANE
                                                  Ah Semira,
 soglion le cure lievi esser loquaci,
 ma stupide le grandi.
 SEMIRA
                                          Alma non vidi
 della tua più inumana. Al caso atroce
1395non v'è ciglio che sappia
 serbarsi asciutto e tu non piangi intanto.
 MANDANE
 Picciolo è il duol, quando permette il pianto.
 SEMIRA
 Va' se paga non sei; pasci i tuoi sguardi
 su la trafitta spoglia
1400del mio caro germano. Osserva il seno,
 numera le ferite e lieta in faccia...
 MANDANE
 Taci, parti da me.
 SEMIRA
                                   Che io parta e taccia!
 Fin che vita ti resta
 sempre intorno m'avrai. Sempre importuna
1405render i giorni tuoi voglio infelici.
 MANDANE
 E quando io meritai tanti nemici?
 
    Mi credi spietata?
 Mi chiami crudele?
 Non tanto furore,
1410non tante querele,
 che basta il dolore
 per farmi morir.
 
    Quell'odio, quell'ira
 d'un'alma sdegnata,
1415ingrata Semira,
 non posso soffrir. (Parte)