Artaserse, libretto, Mannheim, Pierron, 1751

 E buonanotte di vossignoria.
 Signor Fabrizio... Ehi signor Fabrizio...
 Signor Fabrizio... (Più forte)
 FABRIZIO
                                    Che? Come?
 FORESTO
                                                              Voi siete
45impastato di sonno.
 FABRIZIO
                                       Io? Che dite?
 Dormo io? Signor no. Eccomi lesto.
 FORESTO
 Venite qua. (Lo prende per una mano e lo tien forte)
 FABRIZIO
                          Son qua.
 FORESTO
                                             Vi torno a dire,
 signor Fabrizio caro,
 che ci vuol del denaro.
 FABRIZIO
50Ed io risponderò,
 signor Foresto caro, non ne ho.
 FORESTO
 Ma che fare dovrò
 per supplire l’impegno in cui voi siete?
 FABRIZIO
 Fate quel che volete.
 FORESTO
55Non v’è denaro?
 FABRIZIO
                                 Oibò.
 FORESTO
                                              Grano?
 FABRIZIO
                                                              È venduto.
 FORESTO
 Quei cavalli indiscreti,
 che mangian tanto fieno,
 si potrian esitar?
 FABRIZIO
                                  Sì. (S’appoggia alle spalle di Foresto)
 FORESTO
                                          La carrozza?
 FABRIZIO
 La carroz... za... (S’addormenta)
 FORESTO
                                Eh io non sono pazzo
60di volervi servir di matarazzo.
 FABRIZIO
 Sì, la carozza...
 FORESTO
                              O la carrozza o il carro,
 vi dico in due parole
 che se non v’è denar l’Arcadia vostra
 è presto terminata
65e tutta la brigata,
 provista d’appetito,
 grazie vi renderà del dolce invito.
 
    Se vi mancano i contanti,
 fate quel che fanno tanti,
70impegnate e poi vendete
 e se roba non avete
 già si sa l’usanza vaga
 che si compra e non si paga;
 e si gode all’altrui spalle
75ed aspetta il creditor.
 
    Questa regola è diffusa,
 da per tutto già si usa
 ed è segno che ha del credito,
 quando un uomo è debitor.
 
 SCENA II
 
 FABRIZIO solo
 
 FABRIZIO
80Per dirla, quasi quasi
 or or me n’anderei
 e l’Arcadia e i pastori impianterei.
 Ma se l’anno passato
 son già stato graziato, il dover mio
85vuol che st’anno lo stesso faccia anch’io.
 E poi? E poi vi son quelle ragazze
 che mi piacciono tanto
 e spero aver d’innamorarle il vanto;
 ma diavolo, si spende
90troppo a rotta di collo.
 Voglio un po’ far il conto
 quanto ho speso finora
 e quanto doverò spender ancora. (Tira fuori un foglio ed una penna da lapis)
 
    Quattrocento bei ducati...
95poverini sono andati.
 Sessantotto bei zecchini...
 sono andati poverini.
 Trenta doppie... oh che animale!
 Cento scudi... oh bestiale!
100Quanto fanno? Io non lo so!
 
    I zecchini sessantotto
 co’ ducati quattrocento
 fanno... fanno... Oh che tormento!
 Basta, il conto è bello e fatto,
105perché un soldo più non ho. (Parte)
 
 SCENA III
 
 Giardino che termina al fiume Brenta.
 
 ROSANNA, LAURA, GIACINTO, FORESTO sopra sedili erbosi, poi FABRIZIO
 
 A QUATTRO
 
    Che amabile contento
 fra questi ameni fiori
 goder il bel concento
 degli augellin canori!
110Che bell’udir quest’aure,
 quell’onde a mormorar!
 
 FABRIZIO
 
    Che bella compagnia!
 Fa proprio innamorar.
 
 A QUATTRO
 
    Che bell’udir quest’aure,
115quell’onde susurrar!
 
 GIACINTO
 Bellissima Rosanna,
 nell’Arcadia novella
 bramo che siate voi mia pastorella.
 ROSANNA
 Anzi mi fate onore
120e vi accetto, signor, per mio pastore.
 FORESTO
 E voi, Lauretta cara,
 seguendo dell’Arcadia il paragone,