Artaserse, libretto, Mannheim, Pierron, 1751

 Mi protesto,
 che non vo’ pensar a guai,
 sempre mai
 voglio star in allegria
445e si spenda in compagnia
 tutto, tutto quel che c’è.
 
 SCENA XI
 
 Camera in casa di Fabrizio.
 
 Madama LINDORA, poi il conte BELLEZZA
 
 LINDORA
 Dove Laura e Rosanna,
 dove mai sono? Oimè, che nel cercarle
 dalla sala alla stanza
450ho tanto camminato
 che mi sento di già mancar il fiato.
 Vorrei seder un poco.
 Chi è di là? V’è nessuno?
 CONTE
 Madama, vi son io.
 LINDORA
455Da sedere... Oh perdoni;
 non v’aveva veduto.
 CONTE
 A tempo son venuto. (Gli dà la sedia)
 S’accomodi.
 LINDORA
                         Mi scusi...
 CONTE
 Anzi al provido ciel le grazie io mando,
460perché degno mi fe’ di suo comando.
 LINDORA
 (Non mi dispiace, è tutto gentilezza).
 Ma chi è lei, mio signore?
 CONTE
 Son il conte Bellezza,
 un vostro servitore,
465obbligato, divoto e profondissimo.
 LINDORA
 Anzi mio padronissimo.
 CONTE
 Deh mi conceda l’alto onor sovrano
 di poterle baciar la bianca mano.
 LINDORA
 Ah!
 CONTE
           Cos’è stato.
 LINDORA
470M’avete rovinato il mio ditino.
 Toccate pian pianino;
 son tanto delicata
 che non posso sì forte esser toccata.
 CONTE
 Legerissimamente
475alzo la lattea delicata mano
 e con l’avida bocca...
 LINDORA
 No no, che se mi tocca
 l’acuto pelo che vi spunta al mento,
 mi vedrete cadere in svanimento.
 CONTE
480Lo farò con tal arte
 che voi ne stupirete;
 siate pietosa, oh dio, se bella siete.