Artaserse, libretto, Mannheim, Pierron, 1751

 SCENA V
 
 Gabinetto.
 
 MANDANE, poi SEMIRA
 
 MANDANE
 O che all'uso de' mali
 istupidisca il senso o ch'abbian l'alme
 qualche parte di luce
1145che presaghe le renda, io per Arbace
 quanto dovrei non so dolermi. Ancora
 l'infelice vivrà; se fosse estinto
 già pur troppo il saprei. Porta i disastri
 sollecita la fama.
 SEMIRA
                                 Alfin potrai
1150consolarti Mandane. Il ciel t'arrise.
 MANDANE
 Forse il re sciolse Arbace?
 SEMIRA
                                                  Anzi l'uccise.
 MANDANE
 Come!
 SEMIRA
                È noto a ciascun; benché in segreto
 ei terminò la sua dolente sorte.
 MANDANE
 (O presaggi fallaci! O giorno! O morte!)
 SEMIRA
1155Eccoti vendicata, ecco adempito
 il tuo genio crudel. Ti basta, o vuoi
 altre vittime ancor? Parla.
 MANDANE
                                                  Ah Semira,
 soglion le cure lievi esser loquaci
 ma stupide le grandi.
 SEMIRA
                                          Alma non viddi
1160della tua più inumana. Al caso atroce
 non v'è ciglio che sappia
 serbarsi asciutto e tu non piangi intanto.
 MANDANE
 Picciolo è il duol, quando permette il pianto.
 SEMIRA
 Va', se paga non sei, pasci i tuoi sguardi
1165su la trafitta spoglia
 del mio caro germano. Osserva il seno,
 numera le ferite e lieta in faccia...
 MANDANE
 Taci, parti da me.
 SEMIRA
                                   Che io parta e taccia!
 Fin che vita ti resta
1170sempre intorno m'avrai. Sempre importuna
 render i giorni tuoi voglio infelici.
 MANDANE
 E quando io meritai tanti nemici?
 
    Mi credi spietata?
 Mi chiami crudele?
1175Non tanto furore,
 non tante querele;
 che basta il dolore
 per farmi morir.
 
    Quell'odio, quell'ira
1180d'un'alma sdegnata,
 ingrata Semira,
 non posso soffrir. (Parte)